Disinformazione musicale
di Mario Tedeschi Turco
Sul «Fatto Quotidiano» di oggi, a p. 14, appare un elzeviro del “critico musicale” di quella testata, il quale vorrebbe dar conto, pur in una prospettiva di sintesi, del tema del «borrowing» nella musica di Händel. Tema affrontato in sede critica, storica e musicologica dagli anni ’20 del ‘700, ha condotto, per unanime consenso della comunità scientifica internazionale, nonché dei musicisti dell’intero globo terracqueo, alla conclusione che nel sommo musicista del tardo barocco la pratica dell’imprestito (del resto presente in tutta la produzione settecentesca: a volte visibile, a volte no) obbedisca al principio delle reinvenzione creativa, per la quale da frammenti, incisi, temi o motivi altrui si trae una nuova opera che li trascende, in forza di elaborazione contrappuntistica, variazione di carattere o formale, inserimento in altri contesti oratoriali o drammaturgici, ecc.
Il pezzo di cui sopra, invece, è intitolato “Quel gran copione del signor Georg Friedrich Händel”, e gronda simpatia evidente per le tesi irrilevanti e irrilevate di moralisti vittoriani e di una nota coppia di dilettanti italiani, ideologicamente ambigui e metodologicamente incompetenti: a una loro breve intervista è dedicata la chiusa dell’articolo (un po’ come se, al termine di un pezzo critico su Petrarca, si chiedesse un parere a Fedez invece che a Marco Santagata). Non che ci si potesse aspettare molto altro dall’estensore del pezzullo, del resto: in un altro articolo dedicato al Festival della Val d’Itria, colui ci informa di una messa in scena dell’Orlando furioso di Vivaldi da parte di Luca Ronconi, in Piazza del Duomo a Milano, negli anni ’70, confondendo l’opera del Prete Rosso con la drammatizzazione del poema di Ariosto creata da Ronconi e Edoardo Sanguineti nel 1969 a Spoleto, e poi ripresa in varie città italiane (l’opera vivaldiana fu rappresentata per la prima volta in tempi moderni al Teatro Filarmonico di Verona nel 1978, con regia di Pier Luigi Pizzi).
Non si può non far carico a Marco Travaglio, che per altri aspetti è uomo notevole, di promuovere e di avvallare, con la sua direzione, una simile disinformazione, la quale risulta tanto più grave in un Paese come l’Italia, dove il medio uomo di cultura sa poco o nulla di storia della musica.
10 Luglio 2017 il 21:26
Ma il “Fatto quotidiano” (forse di qualche droga pesante) non si rende conto di squalificarsi appoggiando le tesi dei due improbabili strombazzatori? Chi sarà il prossimo con cui se la prenderanno?
11 Luglio 2017 il 10:03
Fabrizio Basciano è amico di Enzo Amato, di Roberto Allegro e di Luca Bianchini: persone che non sanno cosa sia la ricerca musicologica. Improvvisano facendo tutt’altro lavoro fregiandosi di essere musicologi. Non ho mai letto un suo articolo interessante, creativo, che dia spunti di riflessione. Solamente scoop senza senso farciti di inesattezze e di bufale (ahimè). Quando parla di musica leggera è molto preparato, per il resto è meglio che taccia. Una volta può anche andare l’errore, capita a tutti (come il fatto del Don Giovanni censurato in Germania nel 2016), ma tre volte di seguito…
11 Luglio 2017 il 11:49
“Quando parla di musica leggera è molto preparato, per il resto è meglio taccia.” Dunque gli s’attaglia perfettamente il detto “Sutor, ne ultra crepidam!”