Per gentile concessione dell’editore Zecchini pubblichiamo il testo integrale dell’intervista a Riccardo Muti, apparsa nel numero di febbraio della rivista “Musica”. Inoltre nel numero di marzo Carlo Vitali risponderà alle domande del direttore Nicola Cattò sul “caso Luchesi”, la madre di tutte le bufale.
Mozart, Jommelli e Paisiello: Muti racconta la scuola napoletana
di Nicola Cattò con appendici discografiche di Maurizio Modugno e Carlo Vitali
Scarica qui l’intervista di Nicola Cattò a Riccardo Muti in formato .pdf
DVD Video
PAISIELLO Missa Defunctorum
Diaz, A. Malavasi, J.F. Gatell, N. Di Pierro, A. Vendittelli, L. Napoli, A. Visentin, B. Zúñiga, D. Bajić, R. Pisani, F. Da Ros
MOZART Betulia Liberata K 118
Spyres, A. Kolosova, M. Vandoni Iorio, N. Di Pierro, B. Bargnesi, A. Vendittelli, regia Marco Gandini, scene Italo Grassi, costumi Gabriella Pescucci
JOMMELLI Betulia Liberata
Polverelli, A. Giovannini, D. Korchak, V. Priante, Orchestra giovanile Luigi Cherubini, La Stagione Armonica, Philharmonia Chor Wien, maestri del coro Sergio Balestracci, Walter Zeh, clavicembalo Speranza Scappucci, direttore Riccardo Muti
RMM 057284 350101 (3 DVD)
6 h:30′
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Che prodigio La Betulia liberata di Mozart! Eppure, nonostante l’esistenza di un autografo, certi poveri untorelli vorrebbero attribuirla a Mysliveček, a Giuseppe Calegari, o magari a fra’ Cavolo da Velletri pur di toglierla al Tedeschino adolescente che in quegli stessi mesi fra 1771 e 1772 mostrava di aver bene appreso il mestiere dando filo da torcere, con l’Ascanio in Alba e il Lucio Silla rappresentati al Regio Ducale di Milano, perfino a Johann Adolph Hasse, il decano degli operisti di scuola napoletana. Sissignori, benché girasse l’Europa sotto il nomignolo di Sàssone. “Mozart e Napoli” è appunto l’intertesto di questo cofanetto, che raccoglie i frutti di alcune stagioni in coproduzione tra il Festival di Pentecoste salisburghese e quello estivo di Ravenna, dal 2009 al 2011. Un confronto a distanza, perché se è vero che con Jommelli e Paisiello i contatti di Wolfgang furono personali (col Tarantino addirittura fraterni e ispirati a mutua ammirazione), il cronòtopo dei lavori qui registrati e delle ipotizzabili influenze anche indirette spazia dal 1743 al 1789-99, e da Venezia a Napoli con escursioni a Stoccarda, Mannheim e Parigi. Di tutto ciò Riccardo Muti dà conto sommario nelle introduzioni parlate, ma è l’ascolto a decidere per il sì.
Goloso il confronto fra le due Betulie sul medesimo libretto metastasiano: quella di Jommelli ridotta a quattro personaggi nel formato di oratorio edificante, mentre la mozartiana sviluppa lo studio dei caratteri e la tipologia delle arie fino al pieno rigoglio di un’azione sacra che ha molti punti di contatto con l’opera seria, appunto sul modello vincente di Hasse derivato dai due Leonardi napoletani: Leo e Vinci. Più sviluppato in Jommelli il belcanto florido, in Mozart il taglio drammatico che vede protagonisti non più un castrato (Ozia) e un soprano (Giuditta), bensì un tenore e un contralto; ma simile in entrambi l’approccio modernizzante al dramma per musica mediante l’integrazione solisti/coro e il ricorso a un recitativo accompagnato di forte espressività; ad esempio nella lunga scena narrata della decapitazione di Oloferne, dove il Poeta Cesareo sfiora il descrittivismo splatter.
Quanto alle forze in campo, una punta di eccellenza è l’Ozia jommelliano (il controtenore Antonio Giovannini, che impressiona per agilità ficcanti e sguardi luciferini), mentre il suo Carmi, il giovin tenore Dimitri Korchak, muggisce un poco ma non senza grazia, e la Giuditta di Laura Polverelli, in affanno nel registro basso, non pare a misura del ruolo. Più omogeneo il cast della Betulia mozartiana, a cominciare da una Giuditta moscovita (Alisa Kolosova) ragguardevole per polito colore, legato, ornamentazione, embricazione dei registri e una presenza scenica che non sconviene alla pericolosa seduttrice. Con lei abitano il podio femminile Barbara Bargnesi (Cabri) e Marta Vandoni Iorio (Amital) entrambe vocate al patetico alto. Fra i signori, Michael Spyres (Ozia) risente di qualche tedescheria fonetica nel recitativo, restando peraltro apprezzabile per squillo, proiezione e agilità. Una rivelazione l’Achior di Nahuel di Pierro, capace di affondi timbratissimi e convincente nell’azione scenica che ne disegna l’evoluzione da nemico leale a convertito sul campo. Elegante allestimento curato dal team di Marco Gandini; di mettere in scena gli oratorii non ce l’ha ordinato il dottore, ma se si deve fare si faccia così, senza sciocche genialate.
Resta da dire del Requiem di Paisiello, oggetto misterioso. Ben poco contrappuntistico e a tratti di popolaresca semplicità, arricchito di responsori e mottetti estranei alle comuni rubriche liturgiche di rito romano. Lavoro composito e forse diseguale, ma assai avvincente nella sua miscela di gravitas e lirismo. Nel duetto a soprano e contralto “Quaerens me” come non riconoscere il cantore della Nina e della Molinara? Voci fresche e veementi nell’acustica eccessiva di Sant’Apollinare in Classe; qui come altrove sarebbe un fuor d’opera illustrare l’intrepidezza e il carisma interpretativo di Muti, della sua Cherubini e del Philharmonia Chor viennese.
Carlo Vitali
27 Febbraio 2018 il 15:23
L’ha ribloggato su Contro "Mozart. La caduta degli dei".