Per gentile concessione dell’editore Zecchini, pubblichiamo il seguente contributo di Carlo Vitali. L’articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2018 della rivista «Musica».

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Dalla liberale Olanda ci giunge ai primi di giugno l’eco di una polemica. La regista Lotte de Beer, una bella signora di 36 anni che ha già allestito opere a Vienna e New York, si è accorta che il libretto del Flauto magico contiene espressioni razziste e misogine. Ad esempio: «weil ein Schwarzer hässlich ist» (perché un Negro è brutto; Monostatos), oppure «ein Weib tut wenig, plaudert viel» (Una donna fa poco, ciarla molto; il Sacerdote), e tante altre.

«Cosa sta scritto qui, in nome di Dio?» si è chiesta la sensibile artista, la quale, per purificare il capolavoro da tali retrograde schifezze, ha commissionato alla studentessa e scrittrice Eva Peek un nuovo libretto politically correct, andato in scena il 21 aprile al Compagnietheater di Amsterdam. Dopodiché le rieducatrici di Schikaneder & Mozart hanno dilatato vieppiù la propria missione salvifica: «Supponiamo che nel Flauto magicoci sia un orrendo testo omofobico. E che un famoso regista gay dica: ‘Di questi tempi, quando i gay sono picchiati per la strada…”». Abbiamo capito, ce l’hanno col duetto Pamina-Papageno che esalta il matrimonio fra uomo e donna come scala di ascesa alla divinità: «Mann und Weib/ und Weib und Mann», ecc. Seguiamole su questo piano inclinato. Se un regista turco obiettasse alla sortita di Otello e la riscrivesse così: «Ululate!/ L’onesto musulmano sepolto è in mar./ Tutta nostra è la colpa;/ imploriamo il perdono del Sultano»? Senza dire dello «stolto Allah» nei Lombardi, che dovrebbe diventare «grande Allah», o meglio ancora «Allah u-akbar». Precedente: il Coro degli Zingari (pardon! dei Rom) nel Trovatore, di cui nei primi anni Settanta un Kulturbonzedella DDR aveva cucinato una bella versione antifranchista: «Qual è lo scopo di nostra campagna?/ Libera Spagna, Libera Spagna!». Le odierne sparate delle due signore, propalate in varie riprese dal quotidiano «Nieuwe Rotterdamsche Courant», hanno suscitato sul medesimo giornale le motivate obiezioni del musicologo Kees Vlaardingerbroek, specialista di Settecento e attuale direttore artistico, fra l’altro, di Coro e Orchestra filarmonica della Radio nazionale olandese. Rimandando al suo articolo completo, ne offriamo qui una breve sintesi: «Negli anni del nazismo era obbligatorio cancellare ogni traccia culturale e storica degli Ebrei. Così la storia ebraica scomparve dall’oratorio italiano La Betulia liberata (dal libro biblico di Giuditta), che fu corredato di un nuovo libretto tedesco nel quale prendevano vita Attila e Crimilde, eroi della saga germanica. Lo stesso destino toccò ad innumerevoli altre opere e oratorii di soggetto ebraico. Dovremo ogni dieci o vent’anni adattare l’opera d’arte a ciò che in quel dato momento è politicamente corretto? Che taluni argomenti e idee non debbano trovar posto in un’opera d’arte è un concetto errato. Qualcuno l’ha già detto: la grande arte respira il soffio, e sì, anche le nostre emozioni più oscure. E un’arte riservata ai cittadini modello sarebbe un misera arte. Per meglio dire: kitsch. Ritenere responsabile l’autore per le affermazioni dei suoi personaggi è un altro concetto errato. Non neghiamo all’artista la libertà di rappresentare i dissenzienti, per quanto abbietti possano apparire sulla scena. Inoltre il regista ha altri mezzi per offrire una visione attualizzata di una certa opera. Testo e musica del Flauto magico formano un insieme unico e sono un fatto storico. Ma lo stesso non vale — o almeno non vale certo in egual misura — per la regia. Naturalmente Lotte de Beer è libera di esplicitare il proprio dissenso dalle espressioni sessiste e razziste. Lo chiarisca nella regia o nella scenografia, ma lasci intatta l’opera d’arte». Chiediamo al paziente lettore: sono le riflessioni di un nemico del cosiddetto teatro musicale moderno, cioè dell’ottuso Zeitgeist eretto a pensiero unico? Oppure semplice buonsenso?

Carlo Vitali

(Nella foto: Colin Judson come Monostato e Janai Brugger come Pamina nel Flauto magico con la regia di David McVicar, Londra, The Royal Opera. Foto di Mark Douet).