Ecco un secondo scritto, esauriente, documentato e brillante, di Renato Calza. I seguaci dei Bianchini, supponenti come le loro deità, citano con ammiccamenti da bambini invidiosi la nostra accademia, ma non provano minimamente a contestare la nostra competenza. Ammiccano, negano un po’ come fanno i no vax, ma non replicano. La ragione è semplicissima: non sono in grado di farlo. Subiscono, i Bianchini, recensioni negative? Invece di controbattere punto per punto insinuano e si ripassano la palla … il genio non esiste, non ha scritto nulla e se ne va sulle Dolomiti, aspettando che un manipolo di dilettanti impreparati cessi di ingiuriare la carta che imbrattano con atteggiamento puerile e invidioso. Che squallore. Per fortuna che le nostre contestazioni producono letteratura critica, come in questo e in tanti altri casi precedenti. Contestarli è un dovere, ma pure un piacere: approfondire, studiare, documentarsi. Così dovrebbe fare uno studioso, invece di proclamare a vuoto che grazie a scritti di nessun valore si debba riscrivere la storia della musica, un motto francamente fuori luogo vista la base di partenza. Così fa Renato Calza, demolendo ulteriormente, fra l’altro, il mito di Salieri avvelenatore. Buona lettura.
Michele Girardi.
Consiglio agli appassionati del dettaglio musicologico la lettura di questo illuminante saggio di Renato Calza. Che mette in evidenza per un’ennesima volta, dopo i tanti meritevoli interventi raccolti dall'”Accademia della Bufala,” come non vada scritto un libro che pretende di avere valenza scientifica. Stiamo ancora parlando di “Mozart. La caduta degli dei“ di Luca Bianchini e Anna Trombetta, questa volta sono nel mirino tutte le imprecisioni e veri strafalcioni che si incontrano massicciamente nel loro ripasso della letteratura biografica riguardante Antonio Salieri, a partire da informazioni erronee sulla vita di Salieri stesso. Avendo letto lo splendido libro di Volkmar Braunbehrens (chiamato con insistenza dagli autori Brauenbehrens, ma come si fa a storpiare un nome di continuo, dico non in un articolo per un giornale, ma addirittura in un libro?) “Salieri. Un musicista nell’ombra di Mozart?” (a loro pare essere sfuggito il punto interrogativo appartenente al titolo nell’edizione definitiva del 1992, del resto fanno risalire la prima pubblicazione al 1987 e non, come sarebbe giusto, al 1989), posso testimoniare che si tratta della rivalutazione più cospicua del compositore di Legnago, della quale sono per ora a conoscenza. Braunbehrens mi aveva fatto in particolare venire voglia di vedere ed ascoltare quel capolavoro che è “Tarare”, opera che colpevolmente non conoscevo, mettendo in evidenza la totale autonomia stilistica di Salieri che si incammina coraggiosamente su una via postgluckiana, mostrando di fatto un notevole afflato “cosmopolita”, sentendo il bisogno di andare sempre di più verso una forma operistica unitaria, “durchkomponiert” direbbero i tedeschi, riferendosi a Wagner, del quale Salieri sembra anticipare delle soluzioni drammaturgiche. Il fatto che Bianchini e Trombetta credano che il biografo tratti Salieri con sufficienza mi fa sospettare che non abbiano letto il libro o che non siano in grado di capire il tedesco. Aggiungo che è un vero peccato che non esista una traduzione in italiano. Contribuirebbe di più a renderci consapevoli di vari tesori nascosti che non l’ottuso e dilettantesco (non posso definire altrimenti una scrittura così poco documentata e imprecisa) tentativo di diminuzione dell’importanza di Haydn e Mozart, motivato da un tipo di nazionalismo che non solo nelle questioni estetiche continua a fare danni.
Alexander Lonquich.
Il destino è stato doppiamente ingiusto e crudele con Antonio Salieri, prima per averlo calunniato con l’accusa d’aver avvelenato Mozart, poi per aver affidato la sua causa a Luca Bianchini e Anna Trombetta. Per quanto animati forse da buone intenzioni, costoro avrebbero ben potuto essere più documentati, precisi e convincenti, e soprattutto non avrebbero dovuto trascinare Salieri a far da puntello alla loro conspiracy theory. Ma, come più o meno diceva un illustre omonimo di Adolf Bernhard Marx, le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. In undici tappe, dunque, percorreremo la strada in discesa verso l’inferno della musicologia, in compagnia di Bianchini, Trombetta e Salieri.
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Io vidi già cavalier muover campo
Iniziamo il cammino dopo il rituale squillo di tromba. Nel terzo capitolo (La calunnia, pp. 37-50) del primo volume di Mozart. La caduta degli dei Bianchini e Trombetta riferiscono sul ‘caso Salieri’ e si diffondono sulla lettera che Giuseppe Carpani fece pubblicare sulla «Biblioteca italiana». Affermano che quel numero della rivista milanese uscì il 10 agosto 1824, ma tale data è quella apposta dall’autore in calce alla lettera: «Vienna, il 10 agosto 1824». Pur con tutta la fiducia nelle imperial-regie poste e nelle operose tipografie meneghine, è difficile credere che la lettera di Carpani sia stata firmata, spedita, consegnata e stampata lo stesso giorno.
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Per un confuso suon che fuor n’uscia
I due coautori adottano un singolare modo di citare tra virgolette il testo di Carpani: l’originale compare parafrasato in una neo-lingua che lo semplifica e talora lo fraintende; per converso, spesso si trascrivono alla lettera, senza virgolettarle, espressioni che magari avrebbero avuto bisogno d’essere chiarite. Ammettiamo pure che la paludata prosa di Carpani sia ardua, ma se per facilitarne la leggibilità si sceglie di parafrasarla non ha senso presentarla all’ingenuo lettore come se fosse il testo originale: le pseudo-citazioni ammodernate non sono infatti dichiarate ma rinviano, puntigliosamente quanto vanamente, alle pagine della «Biblioteca italiana».
Confidando nella comprensione dei lettori, rinunciamo a riportare tutti gli innumerevoli esempi di questo andazzo. Basti questo, per cominciare. È esilarante leggere come la prosa ottocentesca di Carpani, così piena di pathos, sia involgarita nella ‘traduzione’ bianchinian-trombettiana. Così aveva scritto l’indignato Carpani:
Frastorniamo dunque per quanto da noi, sig. Direttore stimatissimo, sì lagrimevole disastro, e con atto più che magnanimo e doveroso si scansi il nome italiano da tanta turpitudine. Più necessaria diviene questa nostra cooperazione dachè il povero calunniato afflitto da più mesi da morbo senile, non è punto in grado da intraprendere la propria sebben facile difesa.
Ed ecco la versione ‘moderna’ della Caduta degli dei (errore di punteggiatura compreso):
Signor Direttore, dobbiamo fermare questo disastro, con tutte le nostre forze. È ancora più necessaria una nostra collaborazione perché il povero calunniato afflitto da più mesi da morbo senile, non è per nulla in grado di intraprendere una propria schietta difesa.
Si noti per inciso che una propria schietta difesa tradisce il senso dell’originale (la propria sebben facile difesa). Ma nella Caduta degli dei anche gli autori cadono ripetutamente e rovinosamente: secondo loro, ad esempio, «spacciatosi per un novello Erode» equivale all’originale carpaniano «resosi un Erode novello». A che scopo l’innocente Salieri avrebbe dovuto spacciarsi per un Erode sterminatore? Vien da pensare che il Maestro di Legnago dovesse aver davvero perso la trebisonda…
Bianchini e Trombetta scrivono anche che
Carpani non comprende «come al primo suonare di un tal nome» non si ammutisse da subito l’impostura, «e che la calunnia non si dipanasse come la nebbia al sole». «L’umano, il candido, il valente Salieri, un assassino!»
Siamo in presenza di una pseudo-citazione taglia-e-cuci. Carpani aveva scritto:
Io non arriverò mai a comprendere come al primo suonar di un tal nome non ammutisse di subito l’impostura, e qual nebbia al sole non si dissipasse l’incredibil calunnia. L’umano, il probo, il candido e valente Salieri un assassino!
Per Bianchini e Trombetta, evidentemente, Salieri non era sufficientemente probo; inoltre ‘traducono’ non si dissipasse l’incredibil calunnia scrivendo la calunnia non si dipanasse, che è una metafora inedita nella letteratura italiana.
Un altro esempio di citazione a mosaico. Parlando del diffondersi della calunnia Carpani aveva scritto:
un primo iniquo l’inventa, un secondo ed un terzo le si fan eco, e l’atroce cantafavola da un impudente labbro all’altro varcando, si diffonde, s’afforza, si rassoda, e bentosto n’è piena l’Europa […]. Ma frattanto ride l’inferno, e geme la calpestata innocenza.
La lectio bianchiniana taglia, cuce, adatta:
Un primo iniquo la inventa, un secondo e un terzo gli fanno eco, e l’atroce favoletta passata da un labbro all’altro, si diffonde, si rafforza, si rassoda, e subito ne è ripiena [ripiena?] tutta Europa, ma frattanto ride l’inferno, e geme l’innocenza calpestata.
«Gli» è maschile, riferito quindi da Bianchini e Trombetta al primo iniquo; ma Carpani aveva scritto «le», al femminile, riferendo il pronome alla calunniosa cantafavola. Ma sono sottigliezze, quisquilie e pinzillacchere…
Ci sono però casi in cui il taglia-e-cuci tocca i vertici dell’insensatezza. Riportando in forma liberamente adattata, in parte tra virgolette e in parte no, un paradosso di Carpani, Bianchini e Trombetta scrivono che
di necessità «il perfidissimo Salieri avrà avvelenato i pozzi, le pentole e i magazzini di mezza Vienna» E perché no? L’inverosimile non dovrebbe frenare gli impostori dall’inventare anche questa sciocchissima storiella dei pozzi, giacché «non ebbero remore a inventarsi quell’altra favola dell’avvelenamento».
Tanta iniquità non successe. Abbastanza vadano tronfi i maligni d’averla inventata, diffusa e fatta credere ai loro simili e agli sciocchi.
L’altra favola dell’avvelenamento è quella dell’assassinio di Mozart, ovviamente. Ma il Tanta iniquità non successe incollato qui da Bianchini e Trombetta è del tutto fuori contesto: nell’apologia di Carpani era una considerazione che si trova due pagine più avanti ed era riferita non all’avvelenamento di Mozart ma al presunto assassinio di Raffaello perpetrato da Michelangelo:
Michelangelo avrebbe avvelenato Raffaello? no: tanta iniquità non successe. Abbastanza vadan tronfj i maligni d’averla inventata, diffusa e fatta credere ai loro simili e agli sciocchi.
Perché mi scerpi? – potrebbe lamentarsi il povero Carpani.
Un altro esempio di travisamento è la versione bianchinian-trombettiana di stantechè anche nel delirio l’infermo Salieri non proferì mai parola di quanto gli fanno dire i sacrileghi suoi accusatori: i due coautori ‘traducono’ ancora:
Anche nei momenti di delirio l’infermo Salieri non proferì parola di quello che poi gli fecero pronunciare «i suoi sacrileghi accusatori».
Quello che poi gli fecero pronunciare? Non volevano forse Bianchini e Trombetta dire quello che gli hanno attribuito?
Anche un documento ufficiale qual è l’attestato di due infermieri riportato in appendice da Carpani è (in)debitamente modernizzato, e il nome del dottor Röhrik è contratto in Rhik.
Vittime inconsapevoli di chi nel titolo della traduzione italiana di un libro battezzò Brauenbehrens il musicologo Volkmar Braunbehrens, Bianchini e Trombetta scrivono costantemente il suo nome nella forma errata; e non solo quando citano la traduzione italiana del suo studio ma anche quando menzionano l’originale tedesco (che pure riportava esattamente il nome dell’autore). Nel loro testo essi citano l’edizione 1989 del volume di Brau[e]nbehrens, ma nella bibliografia il titolo è riportato nella forma interrogativa (Salieri – Ein Musiker im Schatten Mozarts? Eine Biografie [recte Biographie]) che però compare solo nell’edizione 1992. Alla nota 123, tuttavia, Bianchini e Trombetta adducono il titolo italiano Salieri un musicista all’ombra di Mozart (senza punto interrogativo; qui peraltro l’originale tedesco vien datato 1987) e su questa base contestano allo studioso di sminuire l’importanza di Salieri. Basta un titolo per giudicare? Ci sembra invero che le valutazioni di Braunbehrens fossero molto equanimi.
Altri scivoloni («ahimè ch’io cado…»): alla nota 117 i due autori citano in un tedesco improbabile una rivista inesistente («Leipzig Musik Zeitung» anziché «Allgemeine Musikalische Zeitung») e scrivono per due volte Musikverain anziché Musikverein. L’odio per il germanesimo si riflette nell’odio per la lingua tedesca?
La prosa del capitolo salieriano propone inoltre ai lettori dilemmi insolubili: dopo aver riferito la notizia secondo cui il cadavere di Mozart si era gonfiato e «si ritenne addirittura che fosse stato avvelenato», Bianchini e Trombetta avvertono che
Constanze passò la stessa informazione a Franz Niemetschek, che cominciò «a ricamarci sopra un passo della biografia del 179892».
La nota 92 rinvia alle pagine 45-47 della biografia di Niemetschek, ma non si capisce cosa i due coniugi intendessero dire virgolettando «cominciò a ricamarci un passo della biografia del 1798». Sed de hoc satis.
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E caddi come corpo morto cade
Scendiamo a un altro cerchio. Nel capitolo salieriano della Caduta degli dei assistiamo al ripetuto incespicare degli autori su fonti, documenti, notizie e giudizi temerari:
Abbiamo detto che Salieri era disabile, ricoverato nei suoi ultimi giorni in un ospedale psichiatrico.
Per la precisione, non era il manicomio dell’Amadeus di Forman ma l’ospedale generale di Vienna, e non furono i suoi ultimi giorni ma i mesi tra l’autunno del 1823 e il 7 maggio 1825.
Negli ultimi anni di vita Salieri diventò cieco.
Da dove salta fuori questa notizia? Qual è la fonte? La ritroviamo purtroppo nella voce dedicata a Salieri nella versione italiana di Wikipedia (non su quelle in altre lingue). Dovremmo dunque credere che Salieri scrivesse in braille l’ultima frase che egli appuntò sul suo diario nel gennaio 1824, più di un anno prima della morte: «Dio santissimo, misericordia di me!».
E ancora:
Al suo funerale Franz Schubert, il suo allievo prediletto, diresse il Requiem in do minore, che lo stesso Salieri aveva composto nel 1804 per la propria morte.
Anche qui la notizia non è confermata da fonti a noi note e si ritrova pari pari su Wikipedia italiana, mentre ad es. la pagina spagnola sentenzia che
la leyenda atribuye a Schubert, su alumno predilecto, como encargado de la dirección del Requiem que el propio Salieri había escrito tiempo atrás para su propia muerte. Sin embargo, es altamente improbable que el austriaco tomara la batuta en aquella ocasión.
Nella prima biografia di Salieri, pubblicata nel 1827, un testimone dei fatti qual era Ignaz von Mosel, l’amico devoto del Maestro italiano, non fa il nome di Schubert e si limita a scrivere che qualche giorno dopo il funerale ci fu gran folla di suoi allievi e allieve e d’altri musicisti che eseguirono il suo Requiem nella Chiesa italiana di Vienna (Über das Leben und die Werke des Anton Salieri, Wien, J. B. Wallishauffer, 1827, p. 207). Nel suo Bravo! Greatness of Italian Music anche Guy Graybill scriveva semplicemente nel 2008 che
In 1804, Salieri wrote a requiem (Requiem in C minor) which was played, for the first time, at his funeral in Vienna in 1825.
Per imperscrutabili affinità elettive, due anni prima dell’uscita del primo volume di Mozart – la caduta degli dei (la cui prefazione è datata «Sondrio, 27 gennaio 2016») la notizia del Requiem di Salieri diretto da Schubert compariva con parole quasi identiche in La Scala racconta di Giuseppe Barigazzi («Nuova edizione riveduta e ampliata, a cura di Silvia Barigazzi», Hoepli, Milano 2014):
Ai funerali, Schubert, il prediletto, dirigerà il Requiem che lo stesso Salieri aveva scritto per sé.
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Tu non credevi ch’io loico fossi
È nota l’antipatia di Bianchini-Trombetta per la biografia mozartiana di Georg Nikolaus von Nissen, di cui hanno salutato con sberleffi la recente traduzione in lingua italiana. Si legge infatti nella pagina facebook di Luca Bianchini, proprio in questi giorni:
La nuovissima! (1828) biografia mozartiana di Georg Nikolaus von Nissen scritta a 5 mani, falsificata da Constanze Mozart e pubblicata due anni dopo la morte del presunto autore, considerata inattendibile da tutta la comunità scientifica, ma consigliata dagli accademici della bufala.
Questa biografia è una “farsa totale”, afferma giustamente Buscaroli. Pensare di ricavarci notizie attendibili sulla vita di Mozart è pura follia.
Ognuno è libero di pensarla come vuole. Tuttavia, per la contradizion che nol consente, se Bianchini e Trombetta ritengono così inattendibile Nissen non dovrebbero citarlo come fonte. Ne La caduta degli dei si legge invece che
Nissen scrive che nel 1822 Rossini si trovava a Vienna e che volle recarsi in visita da Salieri. Avendogli chiesto per scherzo se era vero che fosse stato lui a uccidere Mozart, Salieri avrebbe risposto: Mi guardi bene, le sembro forse un assassino?
Ohibò! Da dove salta fuori questa notizia? Qual è la pagina della biografia di Nissen? Gli autori si limitano a un generico «Nissen scrive» senza rinviare a una pagina particolare. Nella biografia di Nissen la notizia non si trova: se ne deduce che non solo Bianchini e Trombetta non apprezzano Nissen, ma nemmeno l’hanno letto. Sappiamo però il nome di chi ne aveva parlato prima di loro: in una conferenza intitolata La leggenda degli ultimi anni di Mozart e la realtà storica, contributo offerto «durante l’incontro tenutosi l’1 agosto 2006, presso la Chiesa di Santa Maria ad Cryptas di Fossa (AQ), dal titolo Mozart ultimo atto, tra esoterismo e religiosità, organizzato dall’Associazione Pietre che cantano, all’interno del Festival internazionale di musica 2006», il prof. Francesco Zimei aveva detto, usando le medesime parole:
G. N. von Nissen ci racconta che nel 1822 Rossini che si trovava a Vienna, volle recarsi prima da Beethoven e volle poi rendere visita anche a Salieri. In quella circostanza gli chiese: Ma è vero che è stato lei ad uccidere Mozart? E Salieri gli rispose, secondo il racconto di von Nissen: Mi guardi bene, le sembro forse un assassino?
A quanto mi risulta, la fonte di questa probabile bufala pesarese (rimasticata innumerevoli volte nei decenni a venire raccontandola in modi sempre diversi, a riprova della sua scarsa credibilità) è ‘Plaudereien mit Rossini’ von Ferdinand Hiller, «Beilage zur Augsburger Postzeitung», 253, 8 novembre 1855: l’aneddoto fu compreso nel secondo volume della sua autobiografia (Aus dem Tonleben unserer Zeit: Gelegentliches von Ferdinand Hiller, Leipzig, Hermann Mendelssohn, 1868, p. 61) e fu riportato in traduzione francese da Charles Schwartz come Causeries avec Rossini par F. Hiller. IX, «La France Musicale», XX/17, 27 aprile 1856, pp. 129-130. Negli anni successivi l’aneddoto venne rielaborato fantasiosamente: nel 1861 da Paul de Musset («Revue nationale et étrangère, politique, scientifique et littéraire», III, 25 marzo – 10 aprile 1861, pp. 238-267 e 374-402); nel 1906 da Edmond Michotte (Souvenirs personnels – La visite de R. Wagner à Rossini (Paris 1860) – Détails inédits, Paris, Librairie Fischbacher, 1906).
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Maestro, che è quel ch’i’ odo?
«Cosa sento!» (Le nozze di Figaro, I.7). Citando una fonte che evidentemente giudicano autorevole (Maria Fioroni, Notizie su Antonio Salieri¸ «Vita veronese», XVI, 1963, fasc. 7, pp. 268-269) Bianchini e Trombetta scrivono:
Salieri rimase orfano ancor giovanetto, e per rovesci di fortuna, lui cresciuto nell’agiatezza, conobbe la miseria e fu costretto a lasciare il paese natio per recarsi a Padova assieme al fratello Francesco. Poco dopo, Giovanni Moncenigo [in realtà «Mocenigo»], amico del padre [qui è saltato il complemento di specificazione «dei giovani»], prese Antonio con sé a Venezia e gli fece continuare gli studi, poiché nonostante l’età [qui è saltata la parentesi «16 anni»], il giovanetto suonava con perizia il violino e il clavicembalo. Quivi il Salieri, per il carattere gioviale, seppe attirarsi le simpatie di Metastasio, di Scarlatti e specialmente di Gluck, che ne compresero le doti eccezionali e la profonda preparazione.
Quivi? A Venezia? Ma stiamo scherzando? Andiamo allora a controllare la fonte e ci accorgiamo che Bianchini e Trombetta, forse commossi dalla lirica prosa dell’autrice, hanno saltato un po’ di parole, ed è per questo che il loro quivi non rinvia più a Schönbrunn ma a piazza san Marco:
Nell’ambiente musicale veneziano conobbe Gassman<n>, reale e imperiale compositore di corte, che, comprendendo l’ingegno e le doti non comuni di Salieri, volle condurlo a Vienna. Egli ebbe ogni cura del giovane che Mocenigo gli aveva affidato, lo tenne con sé, lo istruì nella composizione, e ne fece completare l’istruzione da valenti insegnanti e, infine, lo condusse a corte.
Per evitare un coccolone al lettore troppo impressionabile sarebbe stato anche opportuno precisare in nota che lo Scarlatti di cui si parla non era né Alessandro né Domenico bensì Giuseppe, che fu a Vienna dal 1760 fino alla morte.
Sempre citando l’auctoritas Fioroni, i due coautori scrivono che nel 1816 si festeggiò a Vienna il cinquantenario dell’arrivo di Salieri nella città e che in tale occasione «Schubert compose una ballata». Una ballata? Diremmo piuttosto il Beitrag zur fünfzigjährigen Jubelfeier des Herrn von Salieri (D. 407) per quattro voci virili, su un testo gratulatorio e affettuoso nei confronti del “nonno” Salieri, che non è certo una ballata. Controllate le fonti, quando potete…
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Come quando una grossa nebbia spira
Le cadute di Bianchini e Trombetta non sono solo del tipo di quelle appena citate, per le quali si guadagnano la nostra comprensione e solidarietà umana, ma riguardano concetti (e soprattutto preconcetti) fatti passare per sostenere la loro tesi di fondo, la conspiracy theory.
Il capitolo dedicato a Salieri nella Caduta degli dei è tutto orientato a dimostrare una tesi insostenibile: il complotto antisalieriano promosso dai nazionalisti tedeschi, continuato dai nazisti e proseguito anche dopo la caduta del Terzo Reich. La nebbiosa dimostrazione non è esente da semplificazioni, lacune, errori e invenzioni. Leggiamone un esempio.
Lo scrittore e librettista Giuseppe Carpani (1751-1825), inorridito per le malelingue che non stavano a freno, aveva provato a far pubblicare a Vienna una lettera in difesa del Maestro Salieri, ma non c’era riuscito.
La prova, per favore! E, a ogni modo, perché mai Vienna doveva rifiutarsi di accogliere la difesa di Carpani visto che altre analoghe uscirono nella capitale absburgica? E perché la Milano governata dagli austriaci avrebbe dovuto essere così disubbidiente a Vienna, così accogliente, così accomodante fino all’autolesionismo? Bianchini e Trombetta si dimenticano anche di riferire che la lettera di Carpani circolò ampiamente in terra germanica, senza censure: ne sintetizzò il contenuto, fra gli altri, il «Journal für Literatur, Kunst, Luxus und Mode» (XL/8, gennaio 1825) con l’inequivocabile titolo Mozart nicht vergiftet (Mozart non è stato avvelenato); il 4 gennaio e il 10 maggio 1825 il «Literatur-Blatt» e il «Morgenblatt fur gebildete Stände» ne diedero notizia con un trafiletto dedicato in gran parte a un’ode calunniosa di Calisto Bassi – di cui parleremo tra poco –, giudicata con le stesse parole di fuoco usate da Carpani.
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… a quel punto / che la verace via abbandonai.
In un solo paragrafo de La caduta degli dei si condensano equamente paralogismi e insignificanze:
L’anno prima [= 1823] Salieri ebbe un crollo fisico e psichico. Per la sua disabilità fu ricoverato al Wiener Allgemeines Krankenhaus. Il partito nazionalista profittò del fatto che era malato, e che, essendo incapace di intendere e di volere, il Maestro non avrebbe potuto difendersi. Si erano già fatte circolare le voci che i massoni in combutta con gli ebrei avevano ucciso Mozart. Poiché Salieri era un massone, si disse che aveva confessato di essere lui l’assassino. La notizia della morte di Mozart per presunto avvelenamento era stata pubblicata la prima volta dal Musikalischer Wochenblatt di Berlino, che riportava una diceria proveniente da Praga.
Sorvoliamo pure sul Musikalischer Wochenblatt e sul fatto che non si cita, a beneficio del lettore curioso di apprendere, la fonte e la data («Musikalisches Wochenblatt» I/12, 1791, p. 94), ma la chiamata in causa del «partito nazionalista» e del complotto massonico-ebraico merita dei chiarimenti. Scusandoci per la pedanteria procediamo con ordine, punto per punto.
a) Il partito nazionalista profittò del fatto che era malato
La teoria del complotto nazionalistico tedesco è insostenibile: Bianchini e Trombetta dovrebbero ascrivere a quel ‘partito’ anche l’italiano Calisto Bassi, autore dell’ode A Lodovico van Beethoven che il 23 maggio 1824 destò scandalo a Vienna per una velata accusa a Salieri e fece aprire un’inchiesta giudiziaria sul giovane poeta, e il francese Cordellier-Delanoue, che nello stesso anno pubblicò a Parigi una maligna epistola in versi in cui riportava la pretesa ‘confessione’ di Salieri sul letto di morte (La Poésie et la Musique, ou Racine et Mozart, épître à M. Victor S…R, dilettante, Paris, Librairie de Peytieux, 1824). Si dovrebbero inoltre cercare nel libro paga di quel ‘partito nazionalista transnazionale’ anche i nomi dei redattori dei quotidiani parigini che diffusero il goloso scoop della colpevolezza e della presunta morte di Salieri («in punto di morte Salieri, divorato dai rimorsi, aveva confessato il suo crimine», «Le Courrier Français», 14 aprile 1824).
Dalle parole di Bianchini e Trombetta sembra poi che il partito nazionalista avesse campo libero per calunniare lo sventurato Salieri e che nessuno si opponesse alle sue trame. Nelle pagine della Caduta degli dei, infatti, non si fa cenno alla difesa dell’onore di Salieri compiuta in quelle settimane della primavera 1824 da Sigismond Neukomm, che fu pubblicata sul «Journal des débats», su «L’Étoile», sulla «Gazette de France» e rilanciata su giornali e periodici di lingua inglese e tedesca (la lettera di Neukomm girò l’Europa per mesi: per restare solo nell’area tedesca, uscì il 30 aprile 1824 sulla «Kaiserlich-königlich privilegirte Salzburger Zeitung», il 5 maggio sulla «Klagenfurter Zeitung», il 12 sulla «Berliner allgemeine musikalische Zeitung»).
Bianchini e Trombetta non citano nemmeno le incredule reazioni della stampa europea (inglese e anche austro-tedesca!) all’atroce cantafavola che indignava Carpani. Si dimenticano ad esempio di dirci che la fonte della calunnia era riconosciuta in terra di Francia, e non nella Vienna absburgica o in Germania: la smentita di Neukomm era indirizzata ai giornali parigini, non a quelli austro-tedeschi, e non fu un quotidiano viennese o tedesco bensì il «Journal des débats» (qualcuno può sostenere che fosse la longa manus dell’ideologia nazionalistica tedesca?) a scegliere di non pubblicare un’altra lettera che scagionava Salieri, inviata da Vienna in data 26 maggio 1824 dal conte Moritz von Dietrichstein, direttore del Teatro di Corte di Vienna:
Abbiamo visto con dolore i giornali francesi accogliere una fola priva di fondamento, il preteso avvelenamento di Mozart per mano di Salieri! Salieri, il più dolce degli uomini.
Il direttore del Teatro di Corte di Vienna negava che Salieri – come invece asseriva la stampa parigina – fosse «violentemente geloso» di Mozart e ricordava che Salieri lodò Le nozze di Figaro e rimpianse la sua morte più di chiunque altro. Moritz von Dietrichstein afferma che Salieri non si accusò mai di averlo assassinato, né quando era in possesso delle sue facoltà mentali né nel delirio, e ciò è confermato dalla testimonianza del suo medico. Bianchini e Trombetta potrebbero andarsi a leggere il testo della lettera, che fu riportata alla luce solo nel 1930 da Henry Bidou (Une lettre au ‘Débats’ en 1824, «Journal des débats», 13 giugno 1930), in Gustav Gugitz, Zu Mozarts Tod, «Mozarteums-Mitteilungen», 3, 1920). Anche Gugitz, dunque, era un sicofante del partito tedesco?
Bianchini e Trombetta non ci dicono nemmeno che la pretesa confessione del delitto da parte di Salieri era considerata, anche in terra tedesca, frutto della sua demenza. Si leggano i due coautori cosa scriveva la ‘nazionalistica’ «Allgemeine musikalische Zeitung», XXVII/21, 25 maggio 1825, coll. 349-350 (la notizia è datata aprile, quindi un mese prima della morte di Salieri):
Il suo corpo soffre tutte le pene della vecchiaia e lo spirito si è perso. Si è detto anche che nel delirio si sarebbe accusato di complicità nella morte prematura di Mozart. Un vaneggiamento a cui non crede nessuno se non quel povero vecchio dalla mente confusa.
Dopo la morte di Salieri (7 maggio 1825) sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua rimettere in gioco la calunnia dell’avvelenamento di Mozart: nessuno lo fece, anzi Friedrich Rochlitz, direttore dell’«Allgemeine musikalische Zeitung» di Lipsia, scrisse un commosso necrologio in cui rievocava anche il crollo fisico e mentale che aveva spinto Salieri a tentare il (presunto) suicidio e ad accusarsi di terribili crimini mai commessi («Allgemeine musikalische Zeitung», XXVII/24, 15 giugno 1825, coll. 408-414). Il 18 agosto il necrologio di Rochlitz uscì anche a Vienna sulla «Allgemeine Theaterzeitung», XVIII/99, e anche in questa occasione «il partito tedesco» doveva essersi addormentato: la censura imperiale ne eliminò le parti relative ai deliri e alla fine di Salieri (cfr. Helmut C. Jacobs, Mozart empoisonné! Extraits de la presse parisienne sur la propagation d’une rumeur au milieu des années 1820, «Revue de musicologie», XCI/2, 2005, p. 132). La conspiracy theory di Bianchini e Trombetta traballa sotto il peso dei documenti storici.
Non è dimostrabile una congiura nazionalistica che abbia condizionato la pubblicistica austro-tedesca in senso antisalieriano, tanto è vero che a partire dal 1824 la calunnia ai danni dell’innocente Salieri venne smentita e ridicolizzata anche in Austria e in Germania.
La prima notizia su Salieri assassino confesso arrivò alla luce solo nell’aprile 1824, quando una rivista tedesca riferì una voce circolata a Breslavia. Ma nel trafiletto, introdotto dalla dicitura Sonderbares Gerücht (‘strana diceria’), si protestava contro quella maldicenza ai danni di un vecchio che aveva perduto la ragione («Journal fur Literatur, Kunst, Luxus und Mode», XXXIX/35, aprile 1824, p. 280). Come abbiamo visto, dunque, se andiamo a controllare la cronologia ci accorgiamo che fu Parigi, e non Vienna o Lipsia o Berlino, a diffondere per primo (nell’aprile 1824!) la calunnia contro Salieri e che in terra germanica nessuno la raccolse.
Negli anni immediatamente successivi alla morte di Salieri varie e diverse voci non danno credito alle accuse all’italiano. Johann Grosser (Lebensbeschreibung des k. k. Kapellmeisters W. A. Mozart Nebst einer Sammlung interessanter Anecdoten und Erzählungen größtentheils aus dem Leben berühmter Tonkünstler und ihrer Kunstverwandten, Breslau, Grüson, 1826) adduce la lettera di Neukomm come prova dell’innocenza di Salieri, Hummel lo difende nell’abbozzo di una vita di Mozart. Nella prima biografia di Salieri scritta da Ignaz von Mosel, uscita a Vienna nel 1827 (Über das Leben und die Werke des Anton Salieri, Wien, J. B. Wallishauffer), si legge che i suoi nemici lo accusarono del crimine più odioso nei confronti di un confratello in arte; e nelle ultime pagine, prima di citare la lettera di Carpani, il biografo protesta contro quella «vergognosa calunnia» priva di fondamento. La biografia di Mozart di Johann Aloys Schlosser (Wolfgang Amadeus Mozart. Eine begründete und ausführliche Biographie desselben. Herausgegeben zur Gründung und Errichtung eines Monuments für den Verewigten von Joh. Aloys Schlosser, Prag, bei Buchler, Stephani und Schlosser, 1828) non fa mai il nome di Salieri; l’autore scrive che Mozart scambiò per avvelenamento il suo finale decadimento fisico. Nel 1828 la biografia mozartiana di Nissen si limiterà a ripetere la maligna leggenda dei cantanti italiani ostili a Mozart, ma rifiuterà la tesi dell’avvelenamento perpetrato dagli italiani (e non necessariamente da Salieri!). Nissen addirittura ripete alla lettera la demolizione dell’ipotesi della morte per veleno che era stata offerta già nel 1803 da Theodor Ferdinand Kajetan Arnold nel suo Mozarts Geist: seine kurze Biographie und ästhetische Darstellung seiner Werke. Pur mostrando di credere alla sua invidia nei confronti di Mozart, un Kleines musikalisches Worterbuch pubblicato nel 1833 a Lipsia spiega l’autoaccusa di Salieri con la sua demenza.
La lettura delle biografie e dei periodici dell’epoca conferma che la presunta infamia di Salieri era sostenuta solo nelle fantasie letterarie di Puškin e (solo in modo allusivo) di Gustav Nicolai, autore della novella Der Musikfeind – Ein Nachtstück apparsa cinque anni dopo la «piccola tragedia» di Puškin.
Le testimonianze che fanno scricchiolare la tesi bianchinian-trombettiana del complotto germanico continuano anche negli anni successivi. Nel 1837 il Neues elegantestes Conversations-Lexicon für Gebildete aus allen Ständen di Oskar Ludwig Bernhard Wolff considera frutto di demenza l’autoaccusa di Salieri e afferma che la vedova Mozart l’aveva scagionato; nel suo Ludlamshöhle, Erinnerungen aus Wien August Lewald parla della bonomia del maestro italiano e reputa inconcepibile che gli siano stati imputati l’omicidio e il tardivo rimorso; un’enciclopedia musicale diretta da Gustav Schilling (Encyclopädie der gesammten musikalischen Wissenschaften oder Universal-Lexicon der Tonkunst, Stuttgart, Franz Köhler, 1838, VI, p. 126) parla di «vergognosa calunnia» e la relega nelle ultime tre righe di una dettagliata voce sull’italiano; il giudizio riapparirà con una formulazione ancor più decisa («calunnia infondata e maligna») nell’edizione del 1849. In quegli anni l’accusa a Salieri è considerata il paradigma della leggenda per allocchi o degli aneddoti fasulli che popolano gli scritti musicali di dilettanti e incompetenti.
Il russo Alexander Dmitrievich Oulibicheff (Nouvelle biographie de Mozart, suivie d’un aperçu sur l’histoire générale de la musique et de l’analyse des principales oeuvres de Mozart, Moscou, Auguste Semen, 1843) proietta su Salieri un’ombra puškiniana ma, se pur crede alla fola dell’invidia, rifiuta quella del veneficio: Salieri fu «il più implacabile nemico» di Mozart; «a voler dar credito a una voce che trova eco ancor oggi […] avrebbe avvelenato Mozart. Per buona sorte della memoria dell’Italiano questo racconto è privo di fondamento e di verosimiglianza, tanto assurdo quanto atroce».
E nell’anno mozartiano 1856 cosa scrivevano i nazionalisti? Uno scritto celebrativo uscito ad Amburgo è incondizionatamente favorevole a Salieri (johann peter [pseud. di Ludwig Peter August Burmeister], Mozartiana. Novellenkranz, in Johann Friedrich Kayser, Mozart-Album: Festgabe zu Mozart’s hundertjährigem Geburts-Tag, Hamburg, Trupp in Komm, 1856, p. 61). Altri contributi della stessa raccolta (soprattutto ricostruzioni romanzesche) riprendono il topos della gelosia di Salieri e il leggendario fiasco delle Nozze di Figaro spacciato già nel 1798 da Niemetschek (Leben des k. k. Kapellmeisters Wolfgang Gottlieb Mozart nach Originalquellen beschrieben, Prag, In der Herrlischen Buchhandlung) ma dichiarano la sua innocenza. Un’altra pubblicazione giudica l’avvelenamento di Mozart una favola sfatata dalle testimonianze dei suoi medici (Mozart’s Leben und Wirken in kurzen Umrissen geschildert, Salzburg, Oberer’s Buchdruckerei, 1856, p. 13).
E la terribile musicologia prussiana? Nel 1858 il terzo volume della biografia di Otto Jahn (W. A. Mozart, Leipzig, Breitkopf & Härtel) fa giustizia dei luoghi comuni; nella seconda edizione del 1867, a p. 540, Jahn relegherà in una nota a piè di pagina il caso Salieri e le sue trasposizioni letterarie e dichiarerà insostenibile una recente teoria che voleva Mozart vittima dei massoni. Il Mozart di Ludwig Nohl (Mozarts Leben, Stuttgart, Bruckmann, 1863) riprende solo il motivo della gelosia di Salieri, mentre un lessico musicale definisce “inventata” la storia del veneficio (Julius Ferdinand Georg Schuberth, Kleines musikalisches Conversations-Lexikon, Leipzig & New-York, Verlag von J. Schuberth & Co., 1865, p. 264). Richard Pohl, critico della «Neue Zeitschrift für Musik», ripete la leggenda della cabala di Salieri e dei cantanti alla prima delle Nozze di Figaro, ma conclude che l’accusa di veneficio era una diceria senza prove (Die Entwicklung und Bestimmung der Oper, «Neue Zeitschrift für Musik», LXX/34, 21 agosto 1874, p. 335).
L’unico studioso a me noto che non rifiuta l’ipotesi di un avvelenamento di Mozart da parte degli italiani è Ludwig Klasen (Wolfgang Amadeus Mozart: sein Leben und seine Werke, Wien, 1897): rara avis gracchiante nel deserto. Il secolo si chiude con la monografia che Albert von Hermann dedica alla vita, all’opera e alla riabilitazione di Salieri (Antonio Salieri. Eine Studie zur Geschichte seines künstlerischen Wirkens, Wien, Robitschek, 1897).
Nel primo Novecento la biografia mozartiana di Karl Storck e quella beethoveniana di Alfred Kalischer (Mozart: Sein Leben und Schaffen, Stuttgart, Verlag von Greiner & Pfeiffer, 1908; Beethoven und seine Zeitgenossen, Bd. 4: Beethoven und Wien, Berlin & Leipzig, Schuster & Loeffler, 1910, p. 37) esonerano l’italiano pur ammettendo la sua ostilità verso Mozart; quest’ultima viene invece negata da Arthur Schurig (Wolfgang Amadeus Mozart. Sein Leben und sein Werk, Bd. 2, Leipzig, Insel Verlag, 1913, p. 216) che attribuisce a Mozart una mania di persecuzione nei confronti di Salieri, il quale era invece un bonario e gioviale italiano, incapace di far del male a un collega che sapeva in lotta con la miseria e la malattia.
Se vogliamo dirla tutta, il più ‘prussiano’ (in senso bianchinian-trombettiano, beninteso) tra tutti i critici è l’italianissimo Alfredo Colombari che nel 1900 scrive di Salieri, a beneficio degli abbonati al «Corriere della Sera»:
Era faceto e amava…. i pasticcini dolci; ma dimostrava animo invidioso e cattivo contro i rivali. Per queste battaglie conosceva le arti più oblique e subdole, e vi ricorreva senza scrupolo a danno dei colleghi, e sopratutto dell’arte. Sono note le ciniche parole dette da lui il giorno della morte di Mozart: Se quest’uomo avesse vissuto, non avremmo ricavato più un tozzo di pane dalle nostre opere.
No, la musicologia austro-tedesca non era asservita al complotto del partito nazionalista quando parlava del presunto delitto di Salieri. A onor del vero, l’unica sede in cui tra Ottocento e Novecento trionfano i luoghi comuni sull’invidia dell’italiano nei confronti di Mozart è la narrativa (ma vorremmo ascrivere all’ideale pre-nazista anche il Mozart auf der Reise nach Prag di Eduard Mörike?) e soprattutto il romanzo popolare: ad esempio il Mozart. Ein Künstlerleben di Heribert Rau (1858), Der große Friede. Eine Mozartnovelle dell’austriaco Hans Nüchtern (1922) o Der Titan. Beethovens Lebensroman di Ottokar Janetschek (1927) o l’illeggibile Bildnis Beethovens di Richard Specht (Dresda, 1930) o l’orrendo Die Krönungsoper, ein Mozart-Roman di Hanz Watzlich (Berlin, Volksverband der Bücherfreunde, 1935) e il Salieri und Mozart di Franz Farga (1937) fino al Mozart. Glück und Tragik eines Künstlerlebens di Otto Zierer (1947). Un po’ pochino. E, restando sul piano della fiction, dovremmo allora concludere che gli agenti paranazisti più recenti e più subdoli siano Peter Shaffer e Milos Forman coi loro Amadeus?
b) Si erano già fatte circolare le voci che i massoni in combutta con gli ebrei avevano ucciso Mozart.
Non ha senso riferire ciò al 1823-24 (il contesto è infatti quello della malattia di Salieri): le voci di un complotto giudaico-massonico risalgono al secondo Ottocento, non prima. Il primo a parlare di complotto massonico fu, nel 1861, Georg Friedrich Daumer (Loge und Genius, «Aus der Mansarde. Streitschriften, Kritiken, Studien und Gedichte. Eine Zeitschrift in zwanglosen Heften», IV, Mainz, Kirchheim, 1861, pp. 73-110). Costui accusò i massoni del delitto (ma così facendo scagionò implicitamente Salieri!). Daumer sosteneva che Mozart aveva ingenuamente aderito alla massoneria ma, resosi conto del suo carattere diabolico, aveva progettato di fondare una nuova loggia e il suo confratello Anton Stadler lo aveva denunciato ai capi. Mozart aveva anche tradito il messaggio antireligioso della Zauberflöte impiegando la melodia di un corale luterano nella scena degli Armigeri e aveva rappresentato Sarastro sotto una luce ambigua. I massoni decisero quindi di ucciderlo col veleno così come avevano eliminato Lessing. Mozart fu «il martire della sua idea», vittima della «temibile farmacia massonica» che gli propinò l’acqua toffana. Poco prima della Grande Guerra la tesi antimassonica di Daumer fu sinistramente aggiornata da Hermann Ahlwardt (1846-1914), un esponente del movimento völkisch che fu autore per decenni di violente pubblicazioni antisemite: egli attribuì alle trame congiunte di ebrei e massoni non solo la morte di Mozart ma anche quella di Schiller e di Lessing. Ma ai tempi di Salieri questi discorsi erano inconcepibili.
c) Poiché Salieri era un massone, si disse che aveva confessato di essere lui l’assassino.
Nessuno, vivente Salieri, legò il suo presunto delitto e la favola della sua confessione alla sua appartenenza ai «circoli muratori». Quella di un suo presunto tentativo di suicidio e di una altrettanto presunta confessione fu una bufala che girava a Vienna (ne parlavano Beethoven – che però era indignato di fronte a tale calunnia –, il nipote Karl, Schindler e altri, ma non era ancora giunta alla stampa nel 1823). Nessuno all’epoca parlò di un legame tra Salieri, la loggia massonica e la morte di Mozart: l’idea del complotto giudaico-massonico era, come abbiamo visto, una bufala di là da venire.
d) La notizia della morte di Mozart per presunto avvelenamento era stata pubblicata la prima volta dal Musikalischer Wochenblatt di Berlino.
E che c’entra? Il lettore è fuorviato dal fatto che non viene precisata la data della notizia: il lontanissimo 1791, più di trent’anni prima dell’accusa a Salieri. Non c’è nessun legame logico con la calunnia a Salieri. E a ogni modo, ben prima che si facesse il nome del rispettatissimo e onoratissimo Kapellmeister italiano, la diceria del veleno era stata negata con forza in Germania, in Francia e in Inghilterra, così come quella del generico coinvolgimento degli italiani nella morte di Mozart.
Qualche dato?
Nel 1803 Theodor Ferdinand Kajetan Arnold nega che i cantanti italiani lo avessero avvelenato (Mozarts Geist: seine kurze Biographie und ästhetische Darstellung seiner Werke, Erfurt, In der Henningsschen Buchhandlung, 1803, pp. 66-92). Dal canto suo, Samuel Baur (Interessante Lebensgemalde der denkwürdigsten Personen des achtzehnten Jahrhunderts, Leipzig, Voss, 1804) ritiene che l’idea d’essere stato avvelenato fosse una mania ipocondriaca di Mozart.
Fino al 1824 nessuno chiamò pubblicamente in causa Salieri come l’avvelenatore di Mozart. Tutt’al più si può parlare di un generico clima anti-italiano tra i musicisti viennesi ai tempi di Mozart che fece nascere la leggenda della gelosia di Salieri (ma non certo dell’avvelenamento) di cui è già esempio la biografia mozartiana di Niemetschek (1798).
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Caduto sarei giù sanz’esser urto
Un’attenzione particolare è riservata da Bianchini e Trombetta al dramma di Puškin Mozart e Salieri. I due autori sono convinti che Puškin esalti Salieri a scapito di Mozart, ma anche qui cadono da soli. Accusando (a p. 56) Volkmar Brau[e]nbehrens di aver frainteso («leggendo male le parole di Puškin, ne stravolge il senso»), asseriscono che
Salieri nella Scena prima non dice di provare invidia come una serpe che striscia mordendo la polvere. Queste sono le calunnie che pronunciano gli altri nei suoi confronti. Menzogne sono, e menzogne restano.
Puškin evidenzia, in questo suo micro dramma, che c’è gente sciocca che crede alle dicerie. Non v’è dubbio che sia stato profetico. I commentatori più blasonati, come possono aver dimenticato il finale, trascurando l’ultimo motto chiarificatore, ed essersi dimenticati di Buonarroti, che Puškin paragona a Salieri? Nella più benevola delle ipotesi azzardiamo si tratti di una svista, che li accomuna a quei tanti critici, nazionalisti prima, nazisti poi, che presero per buona la faccenda di Salieri, riempiendo pagine e pagine di calunnie sul suo conto.
Lasciando perdere il tortuoso ragionamento su Salieri-Buonarroti (esempio sommo di climbing on mirrors) e la benevolenza verso «i commentatori più blasonati», si potrebbe obiettare che lo stesso Puškin dovrebbe essere aggiunto a quegli sciocchi e a quei nazionalisti e nazisti«che presero per buona la faccenda di Salieri». Basta andare a leggere l’appunto dello scrittore russo che, prendendo per buona la bufala di Salieri che a Praga fischia il Don Giovanni di Mozart ed esce dal teatro livido di rabbia, commenta: «L’invidioso che poté fischiare il Don Giovanni poteva averne avvelenato l’autore» (cit. in Ernst Stöckl, Puškin und die Musik: mit annotierenden Bibliographie der Puškin-Vertonungen 1815-1965, Leipzig, Deutscher Verlag für Musik, 1974, p. 23).
Anche a costo di forzature interpretative l’intero capitolo bianchinian-trombettiano è volto a convincere il lettore a condividere la tesi di fondo dei due autori, quella del furto della musica italiana perpetrato dai tedeschi lurchi e – come si evincerà nelle ultime pagine del secondo volume – quella della difesa dei diritti di Andrea Luchesi, misconosciuto ghost writer di Mozart, nonché dell’attribuzione a vari autori di alcuni capolavori del Salisburghese. Il nazionalismo alleato alla Musikwissenschaft compì dunque questo crimine culturale, nel cui ambito va letto anche quello perpetrato ai danni di Salieri. Ma in questa luce vanno lette anche le accuse rivolte da Bianchini e Trombetta a Carolyn Abbate e a Roger Parker che nella loro Storia dell’Opera «traggono le conclusioni da una lettura frettolosa del dramma russo e da scritti filo nazisti».
In guerra ogni arma è lecita, e quindi Bianchini e Trombetta denunciano apertis verbis un «conflitto di interessi» in Rudolph Angermüller, il quale, essendo direttore del Mozarteum di Salisburgo, «non può mostrare quella serenità di giudizio e distacco critico che sarebbero necessari» per valutare correttamente la musica di Salieri. Qui a cadere è la penna del commentatore.
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E io ch’avea d’error la testa cinta
La tesi di fondo del capitolo salieriano (e di tutto l’opus magnum di Bianchini e Trombetta) è, come si è detto, la conspiracy theory che accusa il nazionalismo tedesco. Chiamando in causa Herder e Fichte i due coautori legano la calunnia a Salieri all’intento di sminuire l’importanza della musica italiana. Scrivono dunque che per il nazionalismo musicale germanico
occorreva negare qualsiasi influsso di compositori francesi, boemi, inglesi, italiani o slavi. Nessuna meraviglia che l’ignominiosa calunnia su Salieri, non suffragata da alcuna fonte, avesse preso piede a Praga, poi a Vienna e di lì in tutto il mondo. Capita che riaffiori ancor oggi, quando più o meno inconsapevolmente si copiano i lavori scritti negli anni 1930-40.
No, signori miei, la calunnia su Salieri omicida non prese piede a Praga: i due autori confondono la notiziola sul presunto avvelenamento di Mozart, giunta da Praga nel lontano 1791, con l’accusa di omicidio che fu mossa a Salieri più di trent’anni dopo. Crediamo poi d’aver mostrato quanto poco tutto il mondo credesse a quella calunnia. Sarebbe interessante, dunque, sapere da Bianchini e Trombetta in quali scritti musicologici odierni [!] riaffiorerebbe la calunnia su Salieri, chi copierebbe in malafede i lavori scritti negli anni 1930-40 [!] e che cosa si scriveva in quegli anni.
Per le prime due domande non aspettiamoci risposta: nessun musicologo degno di questo nome ha fatto propria la tesi della colpevolezza di Salieri né l’ha ripresa da autori d’epoca nazista. Andiamo allora a vedere se la musicologia in epoca nazista accusava Salieri di veneficio.
Nel 1937 Annette Kolb (Mozart, Wien, Bermann-Fischer Verlag) esclude che Salieri abbia a che fare con la morte di Mozart anche se – alcuni lo sostengono e altri lo negano – nel delirio si autoaccusò del crimine. Nel marzo 1939 Walter Nohl si interroga sulla questione, ma nonostante il titolo a sensazione (Ist Mozart von Salieri vergiftet worden? Neues Material zu einer alten Frage, «Die Musik», XXXI/6, marzo 1939, pp. 389-392) conclude che la teoria dell’avvelenamento non ha alcun fondamento. Alla stessa conclusione perviene Ludwig Schiedermair (Mozart – Sterben und Auferstehen, «Deutsche Kultur im Leben der Völker, Mitteilungen der Akademie zur wissenschaftlichen Erforschung und zur Pflege des Deutschtums / Deutsche Akademie», XVI/3, dicembre 1941, pp. 375-384, e «Neues Mozart-Jahrbuch», II, 1942, pp. 9-23) che ridimensiona la rivalità di Salieri nei confronti di Mozart. Egon von Komorzyski (Mozart, Sendung und Schicksal eines deutschen Künstlers, Berlin, Hesse, 1941, p. 174) ritiene immotivato il timore di Mozart di essere stato avvelenato e spiega la sua morte come conseguenza di una crisi uremica.
Non si dica poi che si tratta di un compiacente omaggio all’alleato italiano da parte del nazismo: la narrativa popolare dell’epoca non usava simili delicatezze a Salieri, eppure aveva una diffusione e una forza di penetrazione ‘ideologica’ sul grande pubblico ben maggiori di quelle di una rivista di carattere specialistico per ristretti circoli.
Il complotto della musicologia nazista contro Salieri è una fantasia. Addirittura, negli anni della seconda guerra mondiale fu proprio un italiano a infamare Salieri: nel 1941 Clemente Fusero si riferì al Maestro italiano, nel suo Mozart, come a «quella canaglia di Salieri» e fu rimbrottato da Rodolfo Paoli per aver ripreso«con una certa compiacenza, anche se prudentemente», «la leggenda della presunta parte avuta dall’italiano nella morte prematura di Mozart» («Il Libro italiano. Rassegna bibliografica generale», VI/1, gennaio 1942, p. 68). E ancora nel dopoguerra Fusero veniva criticato:
Una sola cosa spiace: che il Fusero presenti in una luce un po’ sfavorevole il nostro Salieri, tanto e così a torto calunniato, quando anche la più informata storiografia straniera (che pur dovrebbe essere più animosa e tendenziosa al riguardo) lo assolve da ogni accusa, sfrondando le maligne leggende che furono calunniosamente accreditate ai suoi danni. («Vita e pensiero», XXXV, 1952, p. 355).
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Li accorgimenti e le coperte vie
Nel capitolo dedicato a Salieri una impressionante congerie di errori si accumula quando i due autori accennano alle teorie di tre medici tedeschi, qui appellati col solo cognome come si fa in caserma. Subito dopo aver affermato che «le dicerie» sulla morte per veleno di Mozart «mutarono ad arte in calunnie contro Salieri, ritenuto dal partito dei nazionalisti l’autore materiale del misfatto all’interno dei circoli muratori» (col che si legano infondatamente l’accusa a Salieri nel 1824 e la ‘propaganda antimassonica’), Bianchini e Trombetta proclamano:
Per oltre un secolo, le reliquie del passato continuarono a riaffiorare presentate ogni volta al pubblico come novità. Diachow [recte “Dalchow”], Kerner e Duda s’interessarono alla morte del compositore austriaco, rispolverando la tesi, ora cara ai nazisti, che fossero stati i massoni ad avvelenare Mozart. La propaganda di Hitler assicurava che Amadeus, pur avendoli frequentati, non avesse nulla a che spartire con loro. Il fatto che i massoni lo avessero ammazzato rendeva certa l’ipotesi nazista che costoro fossero dei mascalzoni. I preconcetti e le maldicenze non si eliminano con facilità, tanto che in tempi recenti, nel 1991, quest’assurda teoria è stata appoggiata ed esposta in dettaglio da William Stafford.
Anche qui è necessario fare chiarezza segnalando sconnessioni logiche tra le frasi accostate, accorgimenti e coperte vie.
a) Per oltre un secolo, le reliquie del passato continuarono a riaffiorare presentate ogni volta al pubblico come novità
A chi e a che cosa si riferiscono i due autori? Al legame tra massoneria e avvelenamento di Mozart indebitamente chiamato in causa nella frase precedente? E in che senso «le reliquie del passato continuarono a riaffiorare»? In che senso, poi, erano «ogni volta» «presentate al pubblico come novità»? Non sembra una ricostruzione storiografica che informi il lettore ma un gioco di proclami allusivi.
b) «Rispolverando la tesi ora cara ai nazisti»
L’espressione – come sempre generica – fa credere all’incauto lettore che i tre medici scrivessero all’epoca del Terzo Reich: un po’ di cronologia non guasterebbe! I loro scritti hanno invece infestato il secondo dopoguerra. Che Günther Duda (1926-2010) fosse filonazista è indubbio, ma retrodatare la sua opera all’epoca del nazismo scrivendo che la tesi dell’avvelenamento in loggia era “ora” cara ai nazisti e che la propaganda di Hitler assicurava sul fatto che i massoni fossero dei mascalzoni (qui sarebbe per inciso gradita una maggior pregnanza lessicale) genera un’enorme confusione: i primi scritti dei tre medici tedeschi risalgono al 1956, quando Hitler era fortunatamente entrato da qualche anno nel mondo dei più.
Per inciso, i tre medici tedeschi non erano «ex membri» di una società nazista: essa era stata dichiarata illegale nel 1961 dal governo della Repubblica Federale Tedesca ma il provvedimento fu annullato nel 1977; il dottor Duda ne fu per anni il leader, lo storico, il teorico e l’apologeta e pubblicò per la casa editrice Hohe Warte che ne era emanazione (a proposito: non si scrive «della Bund für Deutsche Gotterkentnis» ma «del Bund für Deutsche Gotterkenntnis»; le teorie del Bund per giunta non erano di Ludendorff ma caso mai della Ludendorff, ovvero Mathilde, sposa del generale Erich von Ludendorff).
Sarebbe stato dunque doveroso, per fare chiarezza, che a questo punto Bianchini e Trombetta parlassero delle idee di Mathilde Ludendorff, che tra il 1928 e il 1936 pubblicò Der ungesühnte Frevel an Luther, Lessing, Mozart, Schiller im Dienste des allmächtigen Baumeisters aller Welten – più volte ristampato – e Mozarts Leben und gewaltsamer Tod, due libri che ebbero un immenso successo in Germania. I titoli parlano di «delitto impunito» e di «morte violenta di Mozart», di crimini imputati alla massoneria e agli ebrei: la Ludendorff sostiene anche che per stornare da sé ogni sospetto i massoni fecero di Salieri il loro capro espiatorio e con l’intimidazione gli vietarono di protestare la sua innocenza; solo alla fine il pover’uomo ebbe il coraggio di ripetere di non avere avvelenato Mozart, ma essi fecero in modo che la sua dichiarazione fosse spacciata per un mea culpa. Paradossalmente, è una nazista che accorre a difendere la causa di Salieri …
Tornando a Dieter Kerner e soprattutto a Günther Duda (Johannes Dalchow è il Lepido prestamente exuto di questo ippocratico triumvirato), Bianchini e Trombetta dimenticano di inserire nel ‘complotto mondiale germanico’ il nome di uno studioso sovietico, Igor’ Fëdorovicč Belza (1904-1994): uno stalinista di ferro che in quegli anni e per lunghi anni ancora accusò il Maestro italiano del veneficio di Mozart: Belza era convinto della verità storica del dramma di Puškin e adduceva fantomatiche prove irreperibili, quali la confessione di Salieri in punto di morte, trascritta da un sacerdote cattolico e – in violazione del segreto confessionale – consegnata all’Arcivescovado di Vienna che si rifiutava di esibirla. Ma il sovietico Belza non era certo un agente del nazionalismo tedesco: la sua ipotesi era fondata su uno stravagante mix di rozzo marxismo e fantascienza.
Attraversando la cortina di ferro in entrambe le direzioni la cieca ideologia, la malafede e l’opportunismo crearono un’alleanza tra i medici tedeschi e Belza, i quali si scambiarono dediche e citazioni onorifiche. Ma Bianchini e Trombetta avrebbero dovuto avvertire il lettore che, già all’epoca, tutte le tesi complottistiche sulla morte di Mozart furono dichiarate prive di fondamento clinico e storico, che rarissimi (e non particolarmente autorevoli) furono in tempi recenti i sostenitori di questa ipotesi e che oggi solo qualche scriteriato blogger ha l’impudenza di riesumarla.
c) La propaganda di Hitler assicurava che Amadeus, pur avendoli frequentati, non avesse nulla a che spartire con loro.
Non si capisce il senso della frase, che induce a legare «la propaganda di Hitler» agli studi dei tre medici tedeschi che come sappiamo furono attivi nel dopoguerra. Costoro fondavano la loro ipotesi sull’avvelenamento di Mozart da sublimato di mercurio proprio a partire dall’affiliazione di Mozart alla loggia e riprendevano le tesi di Mathilde Ludendorff (alla memoria della quale dedicarono nel 1966 il loro W. A. Mozart. Die Dokumentation seines Todes, che si fregiava anche di una prefazione di Belza). La Ludendorff legava, eccome se legava!, la morte di Mozart al suo asserito «tradimento» della massoneria. Secondo la sua paranoide ricostruzione, all’epoca della rivoluzione francese Mozart aveva compreso gli intenti sanguinari della massoneria e intendeva fondare una loggia scissionista; la massoneria ufficiale viennese si aspettava che Die Zauberflöte celebrasse i suoi princìpi ma Mozart ne rovesciò il messaggio annunciando ermeticamente attraverso la storia di Tamino, di Pamina, della Regina della Notte e di Sarastro il piano della liberazione da parte dell’eroe Mozart di Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa d’Austria e prigioniera dei rivoluzionari parigini!
Nel secondo dopoguerra i tre medici si diffonderanno sui simbolismi massonici nella Zauberflöte credendo di trovarvi la chiave della morte di Mozart e nel suo ultimo libro (W. A. Mozart: «den Göttern gegeben»: ein «Bauopfertod», Verlag Hohe Warte, 1994) il dottor Duda sosterrà che Mozart accettò, per obbedienza di loggia, di essere vittima sacrificale dei massoni.
d) Il fatto che i massoni lo avessero ammazzato rendeva certa l’ipotesi nazista che costoro fossero dei mascalzoni
Il fatto… l’ipotesi… Il rapporto di causa/effetto va ragionevolmente rovesciato. Non fu certo il presunto assassinio massonico di Mozart a indurre il regime nazista a mettere al bando la massoneria, nel 1933 in Germania e dopo l’Anschluß in Austria: la propaganda antimassonica agiva su ben altre basi. A parte tutto, non ha senso l’osservazione proposta qui all’interno del discorso sui tre medici tedeschi, i quali scrissero tra il 1956 e il 1994 e della affiliazione di Mozart alla massoneria fecero il loro cavallo di battaglia.
e) Quest’assurda teoria è stata appoggiata ed esposta in dettaglio da William Stafford
Il riferimento allo studio di William Stafford (The Mozart Myths: A Critical Reassessment) è scandaloso: dove mai costui fece propria la tesi dei tre medici tedeschi? Come si può confondere l’appoggiare una tesi e l’esporre in dettaglio una tesi?
Bianchini e Trombetta scambiano la presentazione delle teorie di Duda come il vero pensiero di Stafford. Non hanno letto forse (o inconsciamente sono stati indotti a dimenticare) i giudizi inequivocabili che lo studioso dà sulla tesi dell’avvelenamento di Mozart e su tutti coloro che per decenni l’hanno sostenuta. Stafford non crede alle favole della congiura e del veleno, scagiona Salieri, ridicolizza le teorie di Dalchow, Kerner, Duda e ne è disgustato. Ne diamo qualche esempio:
The case against Salieri as Mozart’s murderer therefore collapses utterly. All the evidence against him is hearsay and rumour, and there is good documentary evidence in his defence. (p. 45)
There is a knock-down argumenti against all the poisoning theories: it is that the doctors who attended him [Mozart] did not think he had been poisoned. And they would have known. (p. 46)
A point-by point refutation of Daumer, Ludendorff and the three doctors would be easy, but largely a waste of time. They uncritically accept the most vulgar gossip against the masons, […]. Their stories will find credit only with readers whose minds are attuned to conspiracy theory. No countervailing arguments would convince such readers; they would simply assume that the critic was himself part of the conspiracy. (p. 47)
Riguardo a Dalchow, Kerner e Duda, inoltre, Stafford informa che i tre medici have assiduously mastered the primary and secondary sources, ma stigmatizza
their remarkably unscholarly and uncandid use of them. They accept highly dubious documents capable of being interpreted to fit their theory, and reject more reliable ones which contradict it. (p. 48)
Our authors are not innocent of disreputable tactics in argument. They don the mantle of medical expertise, and deny the right of others to gainsay them. (p. 52)
The theory put forward by the three doctors is a perfect specimen of a closed system with built-in strategies to protect itself against scientific testing. (p. 53)
11. … però ch’ogne parlar sarebbe poco
Eccoci giunti al termine della nostra discesa, prossimi ormai al tristo buco / sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce. Nel proclama finale del capitolo salieriano si dispiega il nazionalismo germanofobo dei due coautori:
È ovvio che i nazisti volessero distruggere queste radici, che avrebbero inserito Mozart e Beethoven in un discorso musicale internazionale, escludendoli dallo stretto circuito della ‘classicità viennese’. La musicologia tedesca ha cancellato e riscritto cento e più anni di storia della musica, coincidenti con il periodo dell’oppressione degli Asburgo in Italia e nei Paesi dell’Est. Tutti i musicisti al di fuori di HMB sono diventati minori, saccheggiati, ignorati, eclissati. I tedeschi si sono appropriati perfino del termine ‘Klassik’. Salieri è lì a dirci, che devono tornare le opere musicali degli altri paesi. L’oppressione è finita. È ora di riscrivere la storia della musica del Settecento secondo criteri di verità e non di propaganda nazionalistica. Il classicismo ha un respiro europeo e internazionale, come si evince anche dall’architettura e dalle arti figurative. Nella musica si riservi lo spazio dovuto alla Francia, alla Spagna, all’Inghilterra, al Portogallo, alla Grecia, ai Paesi dell’Est, a tutti gli altri Stati e infine all’Italia.”
C’è poco da aggiungere: a giudizio di Bianchini e Trombetta i tedeschi non hanno creato il termine Klassik ma se ne sono perfino appropriati! La musicologia tedesca, alleata agli Absburgo oppressori, ha fatto diventare tutti i musicisti che non si chiamassero Haydn, Mozart e Beethoven dei minori, li ha ignorati, li ha eclissati. Tutti (Andrea Luchesi in primis, of course) sono stati saccheggiati. Il ragionamento secondo il quale il respiro europeo e internazionale del classicismo si evincerebbe anche dall’architettura e dalle arti figurative ha il sapore di una maldestra tesina pluridisciplinare in un liceo di provincia.
La finale peroratio con l’invito a «riscrivere la storia della musica del Settecento secondo criteri di verità e non di propaganda nazionalistica» muove il sorriso, mentre l’immagine di Salieri che «è lì a dirci [virgola inclusa] che devono tornare le opere musicali degli altri paesi» ci rende ancora una volta pensosi sul destino dell’incolpevole Legnaghese, strattonato per la giacchetta da Bianchini e Trombetta per farlo diventare il paladino di un altro simmetrico nazionalismo musicale.
Tornano dunque alla mente i proclami che nel 1833 Albert Lortzing metteva in bocca a Salieri in Scenen aus Mozarts Leben, un Singspiel in un atto su musiche di Mozart, dove Salieri era presentato malignamente come l’anti-Mozart, il paladino della musica italiana a Vienna e il capo del partito italiano. In una scena del Singspiel Salieri arringa i suoi seguaci (i cantanti italiani) affinché si uniscano nella sua lotta per difendere la vera musica da quel riformatore (un «Calvino della musica») che vuole rimpiazzare la gloriosa opera italiana con quella tedesca. Il Salieri di Lortzing assicura di agire in difesa dei suoi sodali italiani: «è giunta l’ora che io blocchi Mozart», un po’ come molti decenni più tardi La caduta degli dei cercherà di farlo cadere. E come Bianchini e Trombetta proclamano «l’oppressione è finita!» anche il Salieri di Lortzing, destinato alla sconfitta e al ridicolo, proclamava «Uniti si vince!» …
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