Già in due occasioni abbiamo potuto leggere illuminanti contributi sulla lettura dei libri di Sandro Cappelletto operata da Luca Bianchini e Anna Trombetta:
Appare tuttavia opportuno aggiungere qualche noterella sull’argomento, per evidenziare sette piccole “dissonanze”.
I testi di Sandro Cappelletto a cui Bianchini e Trombetta fanno ripetutamente riferimento nel loro Mozart. La caduta degli dei sono indicati con le sigle CAPPELLETTO 2006 e CAPPELLETTO 2016, ovvero Mozart la notte delle dissonanze, EDT, Torino, 2006, e I quartetti per archi di Mozart. Alla ricerca di un’armonia possibile, il Saggiatore, Milano, 2016.
1. Prima dissonanza
Si legge nella parte seconda di Mozart. La caduta degli dei, a pagina 79:
“Nel K. 421 Wolfgang plagiò l’ultimo tempo del Quartetto op. 33 n. 2 di Haydn detto ‘Lo scherzo’”.213
La nota 213 rinvia a “CAPPELLETTO (2006, 43)”.
L’ingenuo lettore è indotto a credere che Cappelletto abbia definito plagio il movimento mozartiano oggetto qui dell’interesse dei due co-autori.
In realtà Cappelletto non parlava di plagio ma di una “citazione-metamorfosi che, nel finale del Quartetto K. 421, Mozart compie rispetto all’ultimo tempo dell’op. 33 n. 5 di Haydn.” e precisava:
“Lo stesso materiale di partenza, nell’originale piuttosto incline all’umorismo, è riportato da sol maggiore a re minore e riproposto con unaprofondità e introspezione prima assenti”.
Se ne deduce innanzitutto che Bianchini e Trombetta hanno sbagliato il riferimento (op, 33 n.5 e non n. 2!) e che hanno tagliato il giudizio di Cappelletto proprio là dove avrebbe portato un po’ di conforto al povero Wolfgang accusato di plagio servile….
Ma confrontiamo i due movimenti incriminati:
Queste sono le prime otto battute di Haydn:
E questo è il “plagio” mozartiano:
Tra i due brani c’è uno spunto ritmico comune, uno schema di danza. E oltre a questo? Il maggiore di Haydn diventa minore in Mozart, la melodia è diversa, la struttura armonica è diversa. Haydn si crogiola in un semplice movimento I-IV-V e chiude la prima frase di quattro battute sul V grado, provenendo da un ii; svolge poi la seconda frase procedendo dal V al V del vi. Non ci sono i cromatismi che si vedono in Mozart (bb. 3, 6, 7), né la settima diminuita (b. 5), né la conclusione sulla tonica alla b. 8. Non c’è la squisita invenzione al violino primo alle battute 2-4 e 6-8:
Guardiamo anche come continuano i due pezzi dopo le prime 8 battute.
Haydn se la sbriga in 8 battute: dalla b. 9 inizia una sequenza di quinte discendenti che approda al V grado per poi chiudere in tonica.
E Mozart il plagiatore? Eccolo:
Mozart scrive 16 battute, il doppio di Haydn. Si sposta in quattro battute sul V della relativa maggiore (Fa) attraverso il movimento ascendente del violoncello (e per coerenza strutturale ripropone il motto delle semicrome in levare). Conferma poi la modulazione fino a b. 16 con due strokes di settima diminuita – abbellite da Schleifer – sull’ascesa del basso. Da battuta 16, appena confermato il Fa maggiore, comincia il movimento di ritorno alla tonica: una “squisitamente mozartiana” (e lasciatemelo dire!) relazione di terza discendente, con mutamento di modo e con un gioco cromatico (il moto a specchio di violoncello e secondo violino a b. 19), al V di re minore. Per soprammercato, la potenziale cadenza V-i viene disattesa dall’improvviso forte sulla drammatica napoletana in arpeggio ascendente (b. 21), virata in settima diminuita col teatrale salto discendente del primo violino e poi risolta in tonica, ancora con una coloritura cromatica nel secondo violino (b. 23) e col ritorno coerente del motto ritmico già di bb. 3-5, 6-8, 10-12.
Fermiamoci qui. Ma chiunque legga o ascolti le 104 battute di Mozart scoppierà a ridere al pensiero del plagio che gli è imputato a proposito di questo movimento.
Cari Bianchini e Trombetta, una delle differenze tra voi e noi “musicologi impressionisti” è che a noi, quando studiamo una composizione, piace vedere cosa succede dentro la partitura, e magari ci dilettiamo a segnare, sotto i passi che analizziamo, quei numerini e quei simboli (I6, ii, IV, V7, ecc.) che tanto fanno chic presso “le sarte” e presso gli ignoranti filonazisti.
Ci sarebbe tanto piaciuto trovarne qualcuno nei vostri volumi dedicati a Mozart, visto che portate il nome di musicologi.
Li avete presenti quei piccoli simboli? Sono un po’ diversi da quelli del basso continuo che dite di non vedere mai nella musica strumentale da camera italiana del XVII e XVIII secolo, come questa ad esempio:
2. Seconda dissonanza
A pagina 92 della seconda parte di Mozart. La caduta degli dei si legge il seguente virgolettato:
“Tutti i Quartetti giovanili”, compresi i sei viennesi, “appartengono al periodo dell’apprendistato” e “rivelano ingenuità ed esiti maturi, fragilità e conquiste”.262
La nota 262 rinvia a “CAPPELLETTO (2016, 81)”, che evidentemente è assunto ad auctoritas da Bianchini e Trombetta. E leggiamo ora quanto aveva scritto Sandro Cappelletto:
“Tutti i quartetti giovanili appartengono al periodo di apprendistato , di incontro e confronto con le diverse scuole allora dominanti in Europa: tutti rivelano ingenuità ed esiti maturi, fragilità e conquiste, riferimenti a codici percepiti come autorevoli ed emergere della soggettività.”
Come pare sia loro costume, Bianchini e Trombetta selezionano col setaccio le informazioni che portano acqua al loro mulino e buttano via quelle che non coincidono con i loro assunti. Non c’è da sorprendersi, quindi, che nel loro libro non ci sia traccia del giudizio di Cappelletto sulla fase di sperimentazione linguistica dei quartetti giovanili mozartiani: e dire che sarebbe stata un’osservazione che, attraverso il riferimento ai “codici linguistici” autorevoli, avrebbe potuto spiegare l’assunzione di stilemi barocchi nel quartetto K. 168. Ma di ciò parleremo fra poco…
3. Terza dissonanza
Uno spassoso esempio della prassi bianchinian-trombettiana si legge subito dopo (sempre a pagina 92):
Come dice Cappelletto, limite di questi pezzi è la “mancanza di soggettività”, il fatto che vi siano “troppe anime” e nessuna caratterizzazione, “troppe strade intraprese, nessuna percorsa fino in fondo”.263 La scrittura mozartiana è “minimalista”, come se “diversi compositori avessero scritto il primo, l’altro il secondo tempo dello stesso Quartetto”.
Povero Cappelletto! Egli non “dice” affatto che la “mancanza di soggettività” è il “limite di questi pezzi”. Lo sventurato studioso aveva appena citato un lungo giudizio di Abert, abbastanza acido, sui quartetti giovanili di Mozart. Terminata la citazione, egli l’aveva riassunta scrivendo
“Il limite viene dunque individuato in una mancanza di soggettività.”
Esimi Trombetta e Bianchini, quando mettete in bocca a qualcuno una affermazione sinceratevi che quel qualcuno l’abbia detta davvero…
Procediamo a recuperare altri brandelli della prosa di Cappelletto, ricomposti qui in un’unica frase, suturati come un Frankenstein musicologico.
Quando parlava di “troppe anime” e di “troppe strade intraprese, nessuna percorsa fino in fondo” Cappelletto non si riferiva al corpus dei quartetti giovanili (come vorrebbero invece farci credere Bianchini e Trombetta) ma solo al primo movimento del K 168.
Ma rileggiamo bene la prosa bianchinian-trombettiana e il suo “taglia e cuci”:
La scrittura mozartiana è “minimalista”, come se “diversi compositori avessero scritto il primo, l’altro il secondo tempo dello stesso Quartetto”.
L’ingenuo lettore resta sbalordito e si chiede che razza di rapporto logico possa esistere tra la “scrittura minimalista” di Mozart (dove? quando? perché?) e il fatto che a causa di ciò sembra che “diversi compositori avessero scritto il primo, l’altro il secondo tempo dello stesso Quartetto”? I due autori connettono due frasi con un allusivo “come se”, ma in realtà hanno incollato due frammenti che non avevano relazione logica tra loro…
Di quale quartetto poi stanno parlando? Non lo hanno ancora detto….
La spiegazione è facile: i mal protesi nervi dei due autori si distendono gioiosamente sulle critiche rivolte da Cappelletto al primo movimento del quartetto K. 168 ma si ritraggono nauseati di fronte agli elogi che lo stesso Cappelletto elargiva al secondo movimento, il meraviglioso Andante in fa minore, di cui opportunamente non fanno cenno.
Ed è per questo che crolla il senso logico e la frase risulta incomprensibile (a meno che il sempre più ingenuo lettore non immagini che – forse forse – quel misterioso quartetto è stato scritto a quattro mani, e che il giovanissimo Mozart aveva già preso il suo vizietto di farsi scrivere la musica da altri…).
Solo se leggiamo direttamente Cappelletto comprendiamo che la scrittura “minimalista” era un complimento all’Andante del K 168 e che l’accenno agli ipotetici “diversi compositori” riguardava appunto la diversità tra il primo e il secondo movimento di quel quartetto.
Ma non tutte le citazioni sono benvenute presso Bianchini e Trombetta: quindi ben vengano per loro le citazioni da Cappelletto sul piglio “incerto, irrisolto” del primo movimento del quartetto K. 168, ma il resto è silenzio:
L’inizio del K.168 è un Allegro (indicazione segnata da Leopold) dal piglio “incerto, irrisolto”. Il pezzo conclude troppo in fretta e il finale risulta stringato e troppo imprevisto e insieme prevedibile, a conferma che il limite quest’Allegro è la debolezza di carattere, la personalità fragile, il cedere ·a troppe tentazioni.264
Poi, come abbiamo detto, Bianchini e Trombetta saltano a piè pari quanto scriveva Cappelletto sull’Andante e passano arditamente al terzo movimento:
Con il Minuetto del K.168 si torna alla “normalità dell’apprendistato”, in cui Mozart “sembra non mostrare particolari ambizioni […]”
Essendo stato epurato dai due coscienziosi musicologi sondriesi il riferimento all’Andante che precede il Minuetto, l’ingenuo lettore non può capire perché “con il Minuetto del K. 168 si torni alla ‘normalità dell’apprendistato’”. Rispetto a che cosa, signori miei? Ma tant’è, non si chiede al lettore di capire, ma di aderire.
4. Quarta dissonanza
Restiamo ancora un poco sull’Andante del K. 168.
Quello che Bianchini e Trombetta hanno letto presso Sandro Cappelletto ma hanno nascosto sotto il tappeto era un giudizio sul carattere miracoloso di questo movimento:
Di tutto questo si tace: sarebbe appunto “una dissonanza” all’interno della demolizione del falsario di Salisburgo…
Ma a ben vedere, Bianchini e Trombetta devono essersi fatti un nodo nel fazzoletto per ricordarsi che in qualche modo dovevano pur parlare di questo Andante.
E lo fanno, a modo loro, a pagina 95:
Mozart non è originale. I Quartetti “’viennesi”’ prendono in prestito musiche di altri, e di Haydn in particolare, il quale, a sua volta, si rifaceva a moduli chiaramente italiani. Contengono ad esempio rimandi tematici e strutturali ai Quartetti op. 9, op. 17 e op. 20. Nel K. 168, per fare altri esempi, c’è un canone sul tema del finale dell’op. 20 n. 5 nella medesima tonalità, che torna curiosamente nel Kyrie del Requiem. Il finale del primo ‘”viennese” è simile a quello dell’op.20 n.6. Wolfgang riutilizza il tema d’apertura del Quartetto op. 9 n. 6, mentre per quello lento copia il tema iniziale dell’op. 9 n. 4.
Dimenticando quando aveva scritto Cappelletto sullo sperimentalismo del giovane Mozart nei quartetti e sul suo confronto con codici ritenuti autorevoli, Bianchini eTrombetta se la sbrigano parlando di “prestiti”.
Rileggiamo:
Nel K. 168 […] c’è un canone sul tema del finale dell’op. 20 n. 5 nella medesima tonalità…
Posto che il finale del quartetto haydniano è intitolato fuga a due soggetti, parlare di “tema” sembra un po’ casereccio. Ma vediamo da vicino il nuovo furto di Wolfgang:
Confrontiamolo con Haydn, op. 20 n. 5:
Cinque note in comune! Orrore! Tutto quello che vien dopo non conta, evidentemente, per Bianchini e Trombetta.
Nei libri di storia della musica di matrice nazista (quelli a cui ci rifacciamo) si parla della “crisi di crescita” del linguaggio musicale verso il 1770, che si manifesta, oltre che nell’uso di tonalità minori, in una inusitata energia ritmica, in contrasti sonori e anche nell’assunzione di stilemi contrappuntistici barocchi (e di concatenazioni armoniche di ascendenza barocca). Qualcuno suggerisce di chiamare Sturm und Drang musicale questa fermentazione che è fondamentale per la nascita del cosiddetto “stile classico”.
Ciò spiegherebbe dunque le tonalità minori nella Casa del diavolo di Boccherini, nei quartetti di Haydn e Mozart all’altezza del 1770, nella sinfonia K. 183 del copiatore di Salisburgo, nonché il contrappunto vistoso nell’op. 20 di Haydn e gli esperimenti (concediamo che siano, almeno in parte, ‘scolastici’) dei quartetti giovanili come il K. 168.
Bianchini e Trombetta potevano ben dire all’ingenuo lettore che motivi “a croce” con intervalli melodici dissonanti erano frequenti nella musica barocca e vengono come tali recuperati in questo periodo.
O dobbiamo dire che tutti hanno copiato tutto?
Confrontiamo qualche esempio:
E, per finire, se vogliamo esagerare:
5. Quinta dissonanza
Scrivono Bianchini e Trombetta:
Il finale del primo “viennese” è simile a quello dell’op. 20 n. 6.
Guardiamo un po’ da vicino. I quartetti “viennesi” vituperati da Bianchini e Trombetta sono quelli dal K. 168 al K. 173. Confrontiamo Mozart e le copiature o “somiglianze” (quale precisione di analisi!) rispetto ad Haydn:
Impressionante! Allora è vero quello che dicono! Non solo si assomigliano, ma sono esattamente uguali…
6. Sesta dissonanza
Scrivono, subito dopo, Bianchini e Trombetta:
Wolfgang riutilizza il tema d’apertura del Quartetto op. 9 n. 6, mentre per quello lento copia il tema iniziale dell’op. 9 n. 4.
In quale quartetto, please? Visto che altri numeri di catalogo non vengono forniti, parrebbe che Bianchini e Trombetta si riferiscano al solito famigerato K. 168. Ma dove quel lazzarone di Wolfie riutilizza il tema di Haydn?
Questo è il primo movimento del quartetto di Mozart K. 168:
… mentre per quello lento copia il tema iniziale dell’op. 9 n. 4.
L’Andante del K. 168 lo conosciamo, e non sembra proprio copiato da qui. Attendiamo lumi da Bianchini e Trombetta su somiglianze e copiature…
7. Settima (e ultima) dissonanza
Le affermazioni di Bianchini e Trombetta sono prevalentemente sostenute (si fa per dire) da cospicui riferimenti ai due libri di Sandro Cappelletto, che viene omaggiato da plurime citazioni:
Cappelletto, Sandro; 69; 70; 72; 74; 75; 76; 78; 79; 80; 81; 82; 83; 84; 85; 87; 89; 90; 92; 93; 96; 97; 98; 99; 100; 102; 103; 104; 381
Uno è portato a pensare che, per la proprietà transitiva, chi apprezza Bianchini e Trombetta apprezzi anche Cappelletto… Invece sui siti di vendita on line di libri un certo MAURO si interessa particolarmente a libri su Mozart (che recensisce di frequente) e alla “nazificazione” di Mozart, nonché alle opere di Bianchini e Trombetta, da lui elogiate senza riserve e difese a spada tratta, e a libri di amici di Luca Bianchini ai quali dedica espressioni glorificanti.
Dato che, come si può presumere, tale non meglio identificato MAURO e a me sconosciuto è assai vicino alla sensibilità di Luca Bianchini e Anna Trombetta, dato che condivide i loro interessi, entusiasmi e idiosincrasie e dato che ha letto con attenzione i loro libri, stupisce alquanto leggere le due recensioni di cui proprio MAURO ha gratificato il 18 settembre 2016 (sul sito di Amazon) Sandro Cappelletto, l’auctoritas per eccellenza delle riflessioni sui quartetti che si leggono nella seconda parte di Mozart. La caduta degli dei.
Sul volume di Cappelletto I quartetti per archi di Mozart. Alla ricerca di un’armonia possibile si legge infatti il seguente giudizio:
Quanto a Mozart. La notte delle dissonanze, Mauro scrive:
Questo MAURO, come anche Luca Bianchini, non ama particolarmente le analisi formali. Ma in ogni caso, leggendo attentamente i volumi della Caduta degli dei, avrà certamente notato l’ossequio musicologico dei due co-autori al nome del loro collega Cappelletto, il loro debito di cultori della materia nei suoi confronti, e avrà certamente apprezzato il supporto che Sandro Cappelletto ha offerto alla miglior comprensione dei quartetti di Mozart su cui si soffermano a lungo Bianchini e Trombetta nelle pagine di Mozart. La caduta degli dei.
Ma allora, signor MAURO, per quale motivo Lei ha aggiornato, rivolgendola contra Capuletum, la bella similitudine tra la lettura di un quartetto e la lettura di un romanzo, proprio quella similitudine che Bianchini e Trombetta avevano coniato per dileggiare certi esegeti mozartiani (a pagina 82 della seconda parte di Mozart. La caduta degli dei)?:
… alcuni critici esaltarono ogni singola nota del pezzo, i segni dinamici o d’espressione, il tratto più sottile, come se, per apprezzare i Promessi sposi del Manzoni ci si dovesse fermare a commentare i singoli punti, le virgole, le vocali, gli spazi tra queste, le differenti combinazioni consonantiche.
Mauro, Mauro! Lei dovrebbe essere umilmente grato a Sandro Cappelletto perché molto di quello che ha letto e adorato in Mozart. La caduta degli dei è (più o meno) farina del suo sacco.
E invece…
Evidentemente la gratitudine non abita su questa terra.
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