Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo inviatoci spontaneamente dal compositore Lucio Garau (qui il suo sito personale e qui la voce di wikipedia che lo riguarda).
Stimati Accademici,
nel mese di marzo 2017 sono venuto per caso a conoscenza del libro su Mozart pubblicato da Bianchini e Trombetta, avendo letto sulla rivista “Classic Voice” la recensione di Carlo Vitali, il quale ha un modo di scrivere impareggiabile. Ho capito che si stava scatenando una guerra tra Guelfi e Ghibellini, guerra che tuttora continua e non mi pare destinata a spegnersi tanto presto.
Sono un compositore e un pianista; l’analisi dei testi musicali è uno dei modi per me più piacevoli di impiegare il mio tempo. Che si possa fare musicologia senza saper leggere bene la musica e senza una valutazione approfondita di tali testi è abitudine, a mio modo di vedere, triste ma molto diffusa; in Italia ho conosciuto diversi musicologi e critici di questo tipo.
La recensione di Vitali mi ha evitato di perdere tempo per me prezioso. Solo qualche mese fa ho potuto dare uno sguardo al libro, che dopo la recensione non avevo voluto acquistare, nonché ad altri scritti nei siti gestiti dai due autori e alle puntuali confutazioni che continuano ad apparire sulle pagine dell’Accademia della Bufala. Grazie a voi per il vostro impegno nel rendere edificante (e talora divertente) l’analisi di una simile massa di calunniose sciocchezze, che purtroppo fanno effetto su una platea di lettori tanto impreparati quanto avidi di “rivelazioni” sensazionali, lagni xenofobi e romanzi complottisti fondati sul pettegolezzo.
Per molti musicisti che amano la cosiddetta “classica”, i testi di Mozart da un certo punto in avanti possiedono un’indiscussa autorità per il suo modo innovativo di affrontare la composizione. Negli anni ’80 del Settecento, dopo l’ubriacatura dello stile galante, la musica viveva una situazione di stallo; mancava infatti dalla morte di Bach e di Domenico Scarlatti un compositore capace di scrivere in modo insieme dotto e comprensibile, un compositore che sapesse rimettere insieme i pezzi di un linguaggio che sembrava avviato a ripetere formule di facile comprensione ma ormai noiose e stereotipate.
E Mozart arriva con un percorso singolare: inizia come un buon maestro non diverso da tanti altri (italiani e non) che gli erano serviti di modello. Ma non si ferma lì: cammina, studia e arriva in qualche anno ad uno stile personalissimo in diversi campi. Basta considerare il concerto per tastiera e orchestra: dopo i concerti di J.S. Bach passano decenni e dobbiamo aspettare proprio Mozart per fare un passo avanti. La forma del concerto è rivoluzionata; da lì ripartiranno tutti, bravi e meno bravi. A costo di ripetermi: la statura di un compositore la si mette in discussione partendo dai testi musicali, ma non mi sembra che Bianchini e Trombetta l’abbiano fatto o che siano in grado di farlo. Lo stile e il metodo argomentativo di questi signori e dei loro pittoreschi seguaci sono, a mio modesto avviso, alquanto penosi.
Cordiali saluti
Lucio Garau
Lasciando la parola ai lettori per eventuali commenti (per i quali, tuttavia, ricordiamo di verificare la compliance alle regole del sito), da canto nostro ringraziamo il M.o Garau per il cortese apprezzamento del nostro lavoro.
5 Ottobre 2021 il 14:32
Con tutto il rispetto per il maestro Garau, mi sembra che l’idea dei “musicologi che non sanno la musica” vs. i “compositori che sanno la musica” sia piuttosto datata. I musicologi di oggi, specialmente i più giovani (non parlo di me che sono un anziano) conoscono la musica benissimo, sono spesso pianisti brillanti, hanno titoli di composizione, e magari hanno anche studiato qualche libro in inglese o in tedesco. Mi dispiace anche leggere un altro cliché, quello dello stile galante come momento di fiacca creativa dal quale Mozart si sarebbe liberato: speravo che il libro di Gjerdingen e l’enorme dibattito che se è seguito avesse contribuito a svecchiare un po’ questa idea alquanto datata. D’accordissimo sulla scuola di Sondrio, ovviamente.
6 Ottobre 2021 il 07:36
Ha ragione Sanguinetti: magari Garau si riferisce a tempi di molto passati quando scrive «Che si possa fare musicologia senza saper leggere bene la musica […] è abitudine […] triste ma molto diffusa». Oggi non lo è più, infatti. E, dal canto mio, potrei testimoniare che insegnando storia della musica per compositori in Conservatorio ne ho incontrati più d’uno che avevano problemi per leggere una partitura. Tant’è, per amor di verità. Semmai la ‘scuola di Sondrio’ attesta un’eccezione che conferma la regola.
6 Ottobre 2021 il 18:22
Egregio Lettore,
Esistono varie categorie di musicologi, e l’accento del maestro Garau era sul leggere BENE la musica. Se a un musicologo specializzato nella tradizione delle fonti – o nella biografia, o nella sociologia della musica – non si richiede più di una competenza passiva nella lettura della partitura, altrettanto non vale per chi vuole esprimere giudizi “rivoluzionari” su stili e attribuzioni. Il libello di Bianchini e Trombetta “L’aria della Contessa” dimostra come una laurea 110 e lode in filologia musicale a Cremona non metta al riparo da grossolani errori di armonia e di analisi formale.
Quanto allo stile galante, il dibattito storiografico mi sembra ancora aperto. Se il suo programmatico ripudio della complessità armonica e contrappuntistica poté apparire in un primo momento come liberatorio, non si può negare che in progresso di tempo la sua razionale semplicità sia talora degradata in semplicismo e in manierismo stucchevole. Elementi di stile galante compaiono già in Vivaldi e nell’ultimo Bach, per non parlare della prima produzione di Haydn e di Mozart. Ma tutto ciò non basta, a mio parere, per rivalutare in blocco quella tendenza a spese dello Sturm und Drang e della rivoluzionaria svolta classicista. Robert Gjerdingen ha cavalcato le acquisizioni del cognitivismo per concentrarsi sulle costanti elementari del processo compositivo in un dato momento storico. Approccio legittimo e interessante ma riduttivo; non è il caso di ipostatizzare il suo libro come ultima parola nel campo della ricezione musicale bollando come “datata” ogni altra posizione.
Senza saper nulla di psicoscienze, Fausto Torrefranca credette di rivelare “il segreto del Quattrocento” esaltando come “moderna” la semplice polarità armonica della frottola italiana contro gli artifici intellettualistici del contrappunto franco-fiammingo. Però non mi risulta che la ricezione di Bartolomeo Tromboncino sia stata più durevole di quella di Josquin, né che il pur rispettabile Carl Ditters von Dittersdorf sia oggi più eseguito e apprezzato di Mozart. “Effetti dell’esposizione forzata”, diranno i seguaci della coppia di Sondrio; ma su questo sofisma che i Nostri Eroi della Bufala condividono coi vandalici propugnatori della _cancel culture_ mi permetto di rimandarla al nostro saggetto pubblicato nella presente sede:
https://www.accademiadellabufala.it/2019/09/07/laccademia-della-bufala-n-41-musicologi-del-tubo/
Cordiali saluti