di Federico Maria Sardelli

Introduzione, a cura dell’Accademia della Bufala

Riceviamo (e volentieri pubblichiamo) questo contributo del M.o Federico Maria Sardelli inerente un romanzo recentemente pubblicato e posto, dalla promozione, su uno spinoso crinale che si trova a metà tra il romanzo storico e la ricerca. Ovviamente nessuno di noi ha nulla contro la letteratura che muove i suoi passi a partire dalla storia: tuttavia, se nessuno si sognerebbe di pensare di apprendere la storia d’Inghilterra dalla tragedie di Shakespeare o quella di Francia dai feuilletton di Dumas, dobbiamo comunque ricordarci che un’opera come l'”Amadeus” di Shaffer (e la successiva trasposizione cinematografica di Milos Forman) viene oggi ritenuta da molti una biografia di Mozart, pur essendo dichiaratamente una creazione di fantasia, un divertissement in cui invenzione e realtà si mescolano al solo fine di realizzare una narrazione piacevole per lo spettatore.
In un periodo come questo, non è raro leggere sui giornali su teorie bislacche (che abbiamo puntualmente sbufalato) secondo cui Anna Magdalena Bach sarebbe stata ghost writer del marito, o Nannerl Mozart sarebbe stata una compositrice potenzialmente migliore del fratello. In questo senso, un articolo come quello che qui pubblichiamo serve appunto per lasciare una traccia in un mondo in cui questo romanzo è stato presentato dalla stampa come un’indagine volta a ristabilire presunte verità storiche, quando si tratta di una semplice invenzione dell’autrice.
Buona lettura.
L’Accademia della Bufala

Con questo titolo pacato e sommesso desidero salutare l’ennesimo contributo alla disinformazione storica e alla mistificazione del passato. Il tema è Vivaldi, che calamita da più di due decenni gli appetiti di romanzieri, cineasti e gruppi musicali che tendono a rileggere, deformare, reinventare o voler scoprire sempre qualcosa di inedito e rivelatore sull’incolpevole compositore.

Non bastavano i film cialtroni in cui il povero prete è dipinto come un libertino sciupafemmine, ambientati in un Settecento stereotipo e fasullo. Questa volta si è piuttosto nel solco del recente contributo al femminismo retroattivo come avviene nel film Gloria, di Margherita Vicario, in cui le allieve di un imprecisato conservatorio veneziano di un imprecisato Settecento sono dipinte come giovani «ribelli e visionarie» che «inventano musiche leggere e moderne», in una zuppa di anacronismi e imprecisioni da far rizzare i capelli.

È in questo filone di riscrittura farlocca della storia che s’ascrive il recente romanzo The Instrumentalist della romanziera inglese Harriet Constable[1], dedicato alla figura di Anna Maria «del Violin», una delle migliori allieve di Vivaldi.

Il libro si propone, come si legge sul sito dell’editore, di «riscrivere la storia dimenticata della straordinaria Anna Maria della Pietà». Bisognerebbe spiegare tanto all’editore quanto all’autrice che la storia di Anna Maria non è affatto «dimenticata»: Michael Talbot ne dette vent’anni fa un’esaustivo profilo biografico/musicale nel suo saggio Anna Maria Partbook [2] , mentre i saggi di Gastone Vio [3] e Micky White [4] ne avevano già portato alla luce i documenti fondamentali.

Ma quando si tratta di far sensazione e «riscrivere» storie, non si bada troppo a queste zavorre critiche. Infatti la nostra autrice confessa in un’intervista che ha scoperto solo da pochissimo «l’esistenza dell’Ospedale della Pietà e dell’insegnamento di Vivaldi alle orfane»; lacuna brillantemente colmata con un viaggio a Venezia della durata di addirittura un mese. In Archivio di Stato, si vorrebbe sperare. Macché: «ho cercato di immergermi completamente nella mente di Anna Maria. Attraversavo le calli labirintiche con le Quattro Stagioni nelle cuffie», confessa l’ineffabile autrice.

Se dunque questo è il livello, di fronte a tanta pochezza ci sarebbe solo da stendere un velo di pietoso silenzio.

Purtroppo, invece, non possiamo star zitti, perché il lavoro della signora è strombazzato su tutti i giornali del mondo ed è venduto come rivelatorio. Sunday Times, The Guardian, BBC e una valanga d’altri media europei hanno diffuso a tappeto la grande rivelazione contenuta nel libro della Constable: Anna Maria aiutava Vivaldi a comporre molte sue musiche, fra cui – ci volevi scommettere? – Le Stagioni.

Con titoli come «Vivaldi e l’aiutino della geniale orfanella» sono usciti articoli un po’ ovunque ad annunciare il grande scoop: dietro alle musiche di Vivaldi c’è una mano femminile, geniale, negletta, oppressa (e ti pareva, che non ci fosse anche un po’ di cattiveria maschilista gratuita?). È lo stesso, stucchevole ritornello già udito su altri fronti: la manina di Anna Magdalena dietro a molte composizioni di Johann Sebastian Bach, quella di Nannerl Mozart compositrice più brava del fratello e una lunga teoria di fregnacce tanto infondate quanto attraenti.

D’altra parte, le premesse della Constable sono chiaramente ideologiche, non storiografiche: «siamo nel diciottesimo secolo, in un mondo dominato dagli uomini. Nella storia che racconto, da un punto di vista puramente di genere, Vivaldi deterrà sempre il potere». Ecco qual è il punto: se gli uomini avevano il potere, bisogna inventarsi storie farlocche e appiccicarle a posteriori ai fatti storici, per poter avere una narrazione vindice dei torti (supposti) e capace di risistemare la storia secondo le regole del nostro secolo buono e giusto. È dunque lecito deformare la realtà a proprio piacimento: «si dice che alcune opere [Vivaldi] le abbia saccheggiate alle sue musiciste, era famoso perché vendeva un numero incredibile di spartiti in giro per l’Europa», afferma l’autrice. È chiaro che vendere la propria musica in tutta Europa sia prova evidente che ci fossero femmine geniali dietro di lui.
La storia fatta col «si dice che» e col pregiudizio ideologico farà anche inorridire gli storici e i musicologi, ma ha tuttavia larga presa sul grande pubblico e sui critici, che hanno salutato il lavoro della Constable con entusiasmo.

Dunque Anna Maria «del violin», che noi sappiamo dalle fonti storiche essere stata un’eccellente violinista capace di suonare anche il violoncello, la viola d’amore, il liuto e il mandolino diventa, sotto la penna deformante dell’autrice, «Venice’s greatest violinist and composer». Dato che siamo a sparare, che ci vuole a spararla bella grossa? Ecco allora Anna Maria come stella in ascesa che sta per oscurare Vivaldi, che ne diventa la più grande rivale e viene da lui ostacolata.
Sarebbe imbarazzante chiedere alla Constable di citarci dieci violinisti veneziani attivi in quegli anni, e magari anche dieci compositori. È evidente che la poveretta non saprebbe dimostrarci perché mai Anna Maria dovrebbe esserne la migliore. Però le basta dirlo, è molto più suggestivo inventarsi l’eroina calpestata anziché dover dar conto di verità storiche a lei ignote e certamente meno entusiasmanti. Ne verrebbe fuori che Anna Maria era benissimo considerata, rispettata e omaggiata, che non rivaleggiava con Vivaldi ma che ne era allieva grata e devota. Allo stesso modo, l’autrice mostra di non conoscere minimamente il sistema di organizzazione interno e di studio degli ospedali veneziani. Ma è una fatica che non le serve, visto che andando di fantasia e sparando sentenze si ottiene un successo immediato.
Noi invece, che studiamo Vivaldi, la storia e il contesto, sappiamo che la composizione non era prevista nei piani di studio delle allieve dei conservatorî veneziani. Solo due – fra le centinaia di trovatelle avviate alla musica alla Pietà – lasciarono deboli tracce di deboli composizioni, e fra queste non vi era Anna Maria [5]. Dunque Anna Maria non solo non componeva, ma quand’anche lo avesse fatto, mai avrebbe potuto collaborare o indirizzare il lavoro compositivo di Vivaldi. È bene ricordare che i maestri dei conservatorî veneziani componevano la musica a casa loro e la consegnavano all’istituto perché fosse copiata e studiata dalle allieve. Inoltre, è impossibile e impensabile soltanto immaginare un rapporto di collaborazione e scambio fra maestro e allievi in antico regime, in una didattica governata dal mero principio di autorità.

Ho scritto di recente un romanzo storico riccamente documentato sulla vita di una di queste fanciulle musiciste, Lucietta della Pietà, collega di Anna Maria: per rendere giustizia alla memoria di quelle musiciste dimenticate non c’è bisogno d’inventarsi che erano dei genî, temibili rivali di Vivaldi, compositrici calpestate o altre idiozie di questa fatta: basta far parlare i documenti e inquadrarle nel loro contesto. Ne escono ritratti nobili e tanto più toccanti quanto più storicamente fondati.

Le rivelazioni della Constable, come tutte le altre guidate solo dalle pie speranze di riscatto femminista applicate retroattivamente alla storia, fanno solo tenerezza, nella loro infantile ingenuità. Mosse dal desiderio cocente che le cose siano andate diversamente, alimentano uno smodato appetito vòlto a scovare femmine geniali dimenticate e calpestate, anche dove non vi erano o dove non erano affatto calpestate. Il riscatto femminista lasciamolo ai nostri anni, anziché appiccicarlo proditoriamente a periodi storici che non lo conobbero affatto.

Tempi bui, quando l’ideologia si sostituisce alla ricerca storica.

NOTE:

[1] HARRIET CONSTABLE, The Instrumentalist, London Bloomsbury, 2024.
[2] MICHAEL TALBOT, Anna Maria’s Partbook, in Musik an den Venezianischen Ospedali/Konservatorien vom 17. bis zum frühen 19. Jahrhundert – La musica negli ospedali/conservatori veneziani fra Seicento e inizio Ottocento (Centro tedesco di Studi Veneziani, Ricerche, 1), a cura di Helen Geyer e Wolfgang Osthoff, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2004,
pp. 23-79.
[3] Cfr. GASTONE VIO, Precisazioni sui documenti della Pietà in relazione alle «Figlie del coro», in Vivaldi. Veneziano europeo, a cura di Francesco Degrada, «Quaderni vivaldiani», 1, Firenze, Olschki, 1980, pp. 101-122.
[4] Cfr. MICKY WHITE, Biographical Notes on the “Figlie di coro” of the Pietà contemporary with Vivaldi, «Informazioni e studi vivaldiani», 21, 2000, pp. 75-97.
[5] Si tratta di Michielina, autrice di un Pange Lingua, e Agata, autrice di un Ecce nunc e un Regina Caeli. Agata fu avviata alla composizione perché non poteva praticare nessuno strumento, essendo priva di 4 dita della mano sinistra. Cfr. PIER GIUSEPPE GILLIO, L’attività musicale negli ospedali di Venezia nel Settecento, «Quaderni vivaldiani», 12, Firenze, Olschki, 2006, p. 111, n. 78.