Lettera aperta di Carlo Vitali al prof. Michele Girardi
«Cito una nuova Messa di Haydn, che ho udito eseguire nella Schottenkirche [di Vienna, ndr]. L’insieme era eccellente; il Benedictus, come in ognuna delle sue Messe, col massimo impiego dell’arte e inoltre così accorato, così commovente, così scorrevole. Aveva inoltre la singolarità di essere strumentato unicamente con una tromba obbligata [in realtà la parte di tromba è suddivisa fra tre strumenti onde sormontare le limitazioni tonali della tromba naturale, ndr]. Quando ne parlai con lui e gli menzionai lo splendido effetto di questi isolati squilli di tromba, il rispettabile vegliardo mi raccontò l’origine di tale idea, che a me sembra d’importanza psicologica. Proprio mentre stava componendo il Benedictus, ricevette una notizia dal suo principe Esterhazy: era arrivato un corriere con l’annuncio che Nelson aveva battuto i Francesi. Da quel momento non riuscì a rimuovere dalla sua fantasia l’immagine di un corriere strombettante e, data l’intima associazione stabilitasi fra questa idea e il suo Benedictus, vi incluse la tromba obbligata.»
articolo non firmato nel “Journal des Luxus und der Moden”, vol. XV, Weimar 1800, pp. 330-331
Quella mirifica obligate Trompete sembra uno dei soliti aneddoti inventati ad majorem Austriae gloriam, nevvero caro Michele? Il gazzettante asburgico tace però che l’illustre idiota Haydn aveva rubato l’idea ad Andrea Luchesi, il quale gliel’aveva suggerita con un messaggio su WhatsApp non appena divulgata la notizia della battaglia navale di Abū Qīr (1-2 agosto 1798). Le prove si conservano nella memoria dello smartphone di Luchesi, depositato presso la Biblioteca Estense di Modena; crediamo doveroso rivelare al mondo questa imbarazzante verità a lungo occultata dalla musicologia ufficiale. Non a torto il signor Taboga Agostino, erede della logico-matematica metodologia paterna, ha intitolato un suo saggio J. Haydn: solo un copista di autografi con post scriptum dedicato al prologo Der Götterarth [sic] (consultabile qui).
Vero è che il co-accademico prof. Aristarco Scannabufale mi segnala come la precedente ricostruzione potrebbe peccare di anacronismo. Non esisterebbero infatti le prove che Andrea Luchesi e Joseph Haydn disponessero di accesso alle reti digitali. A questa cavillosa obiezione si può rispondere ricordando la grande diffusione della telegrafia ottica e dei piccioni viaggiatori nella seconda metà del Settecento. In ogni caso il sign. Taboga junior ha già avanzato al proposito un suo teorema d’ineccepibile solidità, a base come sempre di “si deve assumere”, “sembra”, “è lecito ritenere” e “pare logico”. Si legga qui di seguito la sua trionfale dimostrazione del plagio ai danni del genio italiano. E c’è di peggio: le grandi Messe sinfoniche da riattribuire sarebbero in realtà almeno cinque, perché – come opinano i sodali Bianchini & Trombetta – “V’è il serio dubbio che Haydn abbia potuto comporre musiche così complesse incompatibili col suo stato fisico e mentale” [si parla dei Quartetti op. 76-77, delle ultime Messe e degli Oratorii; ndr] [1]. Tesi già sostenuta con dubbio sfoggio di dottrina neuropatologica dalla buonanima di Taboga senior in questo articolo; ma lasciamo ora la parola all’Erede:
“Quanto a Luchesi e alla perdita della sua musica strumentale si deve assumere come anche la sua produzione sacra, soprattutto bonnense, sia per lo più dispersa. Presso la biblioteca Estense Universitaria di Modena esiste, però, una copia della Missa in Angustjis [sic](Mus. D.165), altresì conosciuta come Nelson Messe (1798), le cui parti separate sembrano integralmente corrette proprio nella grafia di Luchesi. […] Il manoscritto della Missa in Angustjis [arisic] sembra far luce sull’origine luchesiana della messa. Luchesi, cui fu inviato il manoscritto della messa a Bonn [da chi? ma non l’aveva composta lui?; ndr] l’avrebbe successivamente spedito al principe perché fosse unito a quello che è lecito ritenere il suo archivio personale. Sembra logico pensare, infatti, che il pericolo dell’invasione abbia suggerito al Kapellmeister italiano di affidare il proprio archivio al principe in fuga e la copia della messa intestata ad Haydn [sic], ma anche quelle di Pauken Messe (1796) e Schöpfung Messe (1801), oggi a Modena, siano copie personali di Luchesi” (tutti i riferimenti sono qui).
Dunque, a rigor di logica taboghiana lo scenario sarebbe questo: a) nell’agosto del 1798 Luchesi compone la Nelsonmesse a Bonn e spedisce l’autografo a Esterháza, ad Eisenstadt o dove diavolo… onde Haydn se la possa intestare; b) dall’Ungheria gli mandano a Bonn, oltre una buona mano di fiorini, la partitura in bella copia e le parti separate senza intestazione, che lui corregge nella propria grafia e deposita anonime nel proprio archivio personale; c) il 3 ottobre 1794, temendo l’arrivo delle soldatesche giacobine (atei arrabbiati che sicuramente avrebbero usato la sua Messa per incartare le salsicce), lui “consegna” il proprio archivio personale al Principe in fuga.
Singolare consecutio temporum. A quel Max Franz che non aveva mai fatto rappresentare una sua opera al teatro di Bonn, che gli aveva dimezzato lo stipendio e col pagamento dell’ultima rata sino al 1° gennaio 1795 gli aveva dato il benservito? E che ora invece si trascina dietro l’archivio personale del suo ex-dipendente per tutte le stazioni dell’esilio: Dorsten, Schloss Mergentheim, Francoforte, Lipsia, Ellingen e infine Hetzendorf presso Vienna, dove morirà il 26 luglio 1801 oppresso da croniche malattie fisiche e psichiche [2]. Non basta. Gli tocca pure incamerare gli aggiornamenti: la Paukenmesse nel 1796, la Nelsonmesse nel 1798 e per finire anche la Schöpfungmesse, composta fra il 28 luglio e i primi di settembre del 1801 per venire presentata in prima assoluta il 13 settembre. [3]
“Ma Herr Kapellmeister Luckese; dovrò farle da archivista in eterno? Non glielo hanno detto che sono morto da qualche mese? E lei che è morto prima di me, nel marzo di quest’anno, non crede sarebbe ora di prendersi qualche riposo?”.
Chi invece non riposa è il povero Haydn, che tra giugno e settembre 1802 compone la sesta e ultima delle sue opere sacre, la Harmoniemesse [4]. Della cui inaugurazione abbiamo esteso riscontro nel diario del principe Ludwig Starhemberg, diplomatico al servizio della corte di Vienna: “Mercoledì 8 settembre […] Messa superba, nuova musica eccellente del famoso Haydn e diretta da lui medesimo […] Niente di più bello o meglio eseguito […] Giovedì 9 settembre […] Avemmo in seguito uno splendido concerto diretto da Haydn e composto dei più bei pezzi della Messa della vigilia […]” [5].
E lei, dottor Taboga; le si è per caso rotto il cronotopo oppure ci sta tirando per il modem?
Bibliografia
[1] Luca Bianchini e Anna Trombetta, Mozart: La caduta degli dei, vol. I, Tricase, Youcanprint, 2016: a p. 400.Contra: Carlo Vitali, L’ora della capra o l’illustre idiota consultabile qui.
[2] Günter Christ, “Maximilian Franz” in: Neue Deutsche Biographie 16 (1990), pp. 502-506.
[3] Joseph Haydn: Gesammelte Briefe und Aufzeichnungen, a cura di H.C. Robbins Landon e Dénes Bartha, Kassel etc., Bärenreiter, 1965; n. 278.
[4] ibidem, nn. 309, 310.
[5] H.C. Robbins Landon, Haydn: Chronicle and Works – The Late Years 1801-1809, London, Thames and Hudson, 1977; a p. 231.
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