Bianchini e Trombetta: si chiama Pamela Potter, non Harry!
di Mirko Schipilliti
Abbiamo già accennato, esaminando il caso delle citazioni dai libri di Sandro Cappelletto e in altre numerose circostanze, come i procedimenti di rielaborazione surrettizia adottati nei due tomi negazionisti di Bianchini e Trombetta, demolitori presunti del genio di Mozart, siano uno dei principi basilari con cui tirare acqua al proprio mulino e discreditare chiunque. Come altri studiosi, tritati in questi due ammassi di carta straccia come carne da macello, anche l’americana Pamela Potter viene citata a proprio uso e consumo, abusando del suo pensiero fino ad attribuirle parole che non compaiono nella pubblicazione originale. Nel saggio Musicologia e nazismo inserito nell’Enciclopedia della musica Einaudi, la Potter conclude commentando che «la fede in una superiorità musicale tedesca si era comunque così fortemente consolidata che non solo sopravvisse alla “denazificazione” della disciplina, ma continuò a vivere nella musicologia di altri paesi» (P. Potter, Musicologia e nazismo, in Enciclopedia della musica, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, vol. II, p. 748). Nel tentativo di forzarne i significati, Bianchini e Trombetta hanno avuto purtroppo l’ardire di manomettere il suo testo sostituendo il punto finale con una virgola e aggiungendo in coda la frase di pura invenzione «e continua ancor oggi» (vol. II, p. 25). Gesto di inaudita prepotenza criminosa, estendendo surrettiziamente all’epoca a noi più contemporanea una considerazione circostanziata pur di accusare chicchessia. La Potter continua invece scrivendo che
«la musicologia tedesca era stata per molto tempo un modello per tutti, e il canone musicologico esaltava la componente tedesca al punto da interdire un giusto riconoscimento di altre tradizioni. Solo da poco,* e a stento, la musicologia ha accettato come oggetti di studio rispettabili materie come l’opera francese e italiana dell’Ottocento, la musica inglese e la musica popolare americana. […] Anche se il periodo nazista ci pone di fronte a uno scenario estremo, esso c’impartisce una lezione importante illustrando fino a che punto, in periodi di transizione intellettuale e politica, i percorsi della scienza possano rendersi vulnerabili alle forze dell’irrazionalismo, alle ristrettezze di bilancio e all’infiltrazione di ideologie populiste».
La questione sulla musicologia del dopoguerra è infatti ben più raffinata di come ce la vogliano porre Bianchini e Trombetta, ed è stata già sondata ampiamente e approfonditamente coi dovuti modi. Si tratta di un quadro in realtà ancora più complesso e che non può essere liquidato in poche battute, e che in quelle parole della Potter adulterate dai due autori ridimensiona in realtà un problema, per nulla legato alla genialità e ai meriti mozartiani, che invece Bianchini e Trombetta pongono come colonna portante in modo irreale, surreale e mistificato, strumentalizzato in senso complottista per discreditare ridicolmente Mozart inzuppandolo nel nazismo.
Forse i due rinomati autori si sono confusi, e in loro è prevalso il ricordo della loro lettura prediletta, evocatrice di mondi magici che faranno da sfondo al loro prossimo libro, purtroppo annunciato, sul Flauto magico: il maghetto Harry Potter, controfigura dei due armigeri valtellinesi, contro Voldemort, il rappresentante della musicologia tedesca. Un libro atteso (non è ancora stato scritto, a quanto pare, ma già viene reclamizzato, forse perché si tratterà di una rifrittura di lavori precedenti) e commentato da un ammiratore scatenato, un signore che vola in alta quota, ma in montagna e non con la mente, che scava sottoterra, nelle viscere della prevenzione:
ho provato ad ordinarlo ma è ancora troppo presto… per me è Mozart che fa ritardare la pubblicazione.
Capita l’antifona? Pensate a quanto ci si annoierebbe senza un pizzico di follia organizzata. Solo che dalle parti di Sondrio ne piove a caterve!
In alto la versione Bianchini e Trombetta, in basso l’originale
* La Potter si riferisce all’affrancamento più generale nella disciplina da atteggiamenti pregiudiziali nei confronti di stili e generi praticati al di fuori dei paesi di lingua tedesca, tuttavia è bene ricordare anche specialisti come Romain Rolland in Francia, e gli studi generali pionieristici in francese su Verdi (Bellaigue 1912), in inglese (Toye 1931) e in tedesco (Hanslick 1875, Weissman 1922). I primi contributi di valore su Puccini sono stati prodotti in ambito ebraico, vivente l’autore nel primo caso: da Adolf Weissmann, ancora (Giacomo Puccini, München, Drei Masken, 1922), morto a Haifa nel 1929, a Arthur Neisser (Giacomo Puccini. Sein Leben und sein Werk, Leipzig, Reclam, 1928), che venne ucciso ad Auschwitz nel 1944 dopo essere stato catturato a Milano e dirottato da Bolzano al supplizio, e soprattutto da Richard Specht (Giacomo Puccini. Das Leben, der Mensch, das Werk, Berlin, Hesse, 1931; trad. inglese: Giacomo Puccini: The Man, His Life, His Work, New York-London, Knopf–Dent, 1933). Il quarto israelita, il più noto oggi, arriva solo nel 1936 con un articolo su Puccini e l’esotismo: Mosco Carner (ma Cohen), mentre la fondamentale biografia onora gli studi del secondo dopoguerra.
L’Accademia della Bufala: Mozart. La caduta degli dei di Il Gazzettante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
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