Un milione di mosche non può avere torto
di Carlo Centemeri (con Paolo Congia, Michele Girardi, Riccardo Mannefei, Mario Tedeschi Turco e Carlo Vitali)
Sarebbe quindi logico ritenere la musica di Andrea Luchesi non così mediocre come molte persone oggi vorrebbero, dato che diversi ottimi cantanti dell’epoca e gli stessi Mozart la eseguivano e C. Burney la giudicava «adorabile» (Agostino Taboga)
È un insolito approccio, quello del Taboga: cercare di convincere i lettori della bellezza della musica di Luchesi tramite un giudizio tributato da illustri testimoni, tra cui Charles Burney e il castrato Nicolini; ci si dimentica che non si è mai contestata al povero Luchesi la piacevolezza della sua musica, ma il fatto che si cerchi – da anni – di valutarne la grandezza compositiva attribuendogli rocambolescamente brani di repertorio dal successo ben consolidato. Esaminiamo in dettaglio due dei casi elencati, che sembrano essere particolarmente problematici.
1. Charles Burney e Luchesi (e Monza, e Lucca)
Charles Burney aveva certamente i suoi gusti, come li hanno tutti (come dimenticare il suo divertente giudizio, di sapore del tutto illuministico, sul Duomo di Milano?[1]) e non aveva una memoria molto dettagliata per i nomi. Per questo motivo, inutile giudicare la musica di Luchesi con le orecchie di Burney, e inutile prendere per esatte le grafie dei diari di Burney, che non raramente contengono qualche imprecisione.
Burney, nel suo viaggio musicale in Germania, ci racconta infatti che
The elector of Cologn was not here, so that I heard no music in this city; however, during winter, his highness has a comic opera, at his own expence, performed in his palace. Most of his musicians were now at Spa, they are all Italians, and the maestro di capella is Signor Lucchese, who is a very pleasing composer; when I was in Italy, I heard Mansoli sing a Motet of his composition, in a church near Florence, which was admirable.[2]
Ora, notando che «Mansoli» è Manzuoli e «Signor Lucchese» è Andrea Luchesi (ovvio, visto che siamo a Bonn), è interessante leggere anche il passo, inerente l’esecuzione di Manzuoli nella «church near Florence», descritto da Burney nel diario italiano:
This morning I was at a very solemn service in the convent delle Monache, or nuns of the Portico, about a mile from Florence […] I had there the pleasure of hearing Signor Manzoli […] The music of the mass was by Signor Soffi, of Lucca, but he not being present, Signor Veroli beat time to the choruses. Besides the verses which Signor Manzoli sung in the mass, with which I was very much delighted […] he performed a charming motet, composed by Signor Monza of Milan.[3]
Nel diario italiano Burney non nomina altre esecuzioni ‘compatibili’, ossia avvenute fuori Firenze e/o con Manzuoli. Questo non esclude, ad esempio, che siano stati eseguiti più mottetti nell’occasione fiorentina citata (ma come mai non farne menzione, se effettivamente il mottetto di Lucchesi era «adorabile», o più esattamente «ammirevole»?). Tuttavia, sembrebbe esserci un’incoerenza, magari imputabile a una confusione di Burney, tanto più che i due episodi sono separati da due anni, e così anche i due diari e le relative pubblicazioni (il diario italiano è stampato nel 1771, quello mitteleuropeo nel 1773). Sottolineiamo che l’episodio del mottetto di Carlo Monza è mantenuto da Burney in maniera identica anche nella seconda edizione del Present State of Music in Italy, che viene pubblicata nel 1773, quindi all’indomani del viaggio a Bonn: anche qualora si fosse ricordato dell’errore solo dopo la prima stampa, avrebbe avuto modo di correggerlo nella seconda edizione. Tuttavia, neanche l’episodio di Bonn viene corretto né nella prima (1773) né nella seconda edizione (1775), per quanto una svista su un compositore a cui vengono dedicate meno di dieci righe a fronte di una pubblicazione di circa settecento pagine (facendo riferimento all’edizione inglese) sia certamente perdonabile. Infine, questa incoerenza viene riportata anche nell’edizione curata da P. A. Scholes nel 1959 che, ulteriormente, collaziona i due musical journey con i diari di Burney,[4] verificando eventuali incongruenze fra i testi a stampa e i manoscritti dello studioso inglese.
Cercando una soluzione costruttiva, a causare confusione a Burney potrebbero essere stati due elementi: il «Signor Soffi», autore della Messa i cui versetti erano stati tanto apprezzati da Burney nell’interpretazione di Manzoli, era un Lucchese ben noto in Toscana. Si tratta infatti di Pasquale Antonio Soffi (1732-1810), successivamente maestro di cappella della cattedrale di Lucca.[5] A questo, aggiungiamo un ulteriore elemento: la situazione musicale a Firenze non era buona ed era necessario approvvigionarsi di artisti e partiture provenienti da fuori: lo stesso Burney non ne fa mistero: «At present, though Florence does not abound in musical geniuses of it’s own growth, yet it is very well supplied from other places».[6] Pertanto, visto che già abbiamo verificato che la musica per questa cerimonia solenne era stata fatta arrivare da Lucca, sarà utile ricordare che negli stessi anni in Toscana era attivo l’abate Frediano Matteo Lucchesi (1710-1779), anch’egli nato e operante a Lucca, il quale, al di là della sua fama come insegnante (ebbe come allievi Antonio Puccini[7] – antenato di Giacomo – e secondo alcuni[8] anche lo stesso Soffi), era una figura di primo piano nella vita musicale della zona, come peraltro testimoniano le svariate sue composizioni sacre ancora oggi conservate nel fondo Quilici di Lucca.
2. Nicolini e Luchesi (e Pampani, e Metastasio, e i copisti veneziani)
Nella presentazione dei tributi di stima al Luchesi da parte dei contemporanei, ci si imbatte in un’altra speculazione di Taboga junior, volta al confermare la stima del castrato Nicolini per il Mottense: il cantante ne avrebbe interpretato un’aria durante una produzione veneziana. Esaminiamo i fatti con ordine: all’interno di un Konvolut conservato a Ginevra troviamo un’intonazione di Luchesi dell’aria «Quel labbro adorato m’è grato, m’accende» su un testo tratto dal Demetrio di Metastasio (libretto che ebbe grande successo e diffusione, tanto da essere intonato diverse decine di volte).[9] Secondo un’ipotesi del Taboga, tale aria sarebbe stata inserita come sostituta all’interno del Demetrio di Gaetano Pampani quando l’opera fu rappresentata a Venezia nel 1768, deducendo pertanto da ciò un apprezzamento del cantante Nicolini, interprete del ruolo, nei confronti della musica di Luchesi. Mancano tuttavia elementi a sostegno di questa tesi, non suffragata da alcuna evidenza: ad esempio, il libretto della rappresentazione veneziana non riporta nomi di altri compositori oltre al Pampani.[10] Taboga la sostiene affermando che la partitura dell’aria di Luchesi (oggi a Ginevra), «sarebbe stata copiata da un copista veneziano», citando come unico sostegno di tale ipotesi una pagina del blog di Taboga, a sua volta estratta «da un lavoro più ampio non ancora pubblicato» (ovviamente a firma dello stesso Taboga). Quindi una tesi di Taboga basata su un testo di Taboga estratto da un Taboga (inedito). Cerchiamo allora di fare, costruttivamente, un po’ di ordine sui fatti.
Tutto quello che abbiamo da quella fonte svizzera sono due arie staccate di Luchesi entro un Konvolut di dieci autori e un anonimo. Sa dirci qualcosa il Taboga su: misure dei fogli (se costante o variabile, se ci siano rifilature), quanti siano i copisti e quali siano le rispettive filigrane, quale la presumibile data di chiusura della raccolta (dato desumibile dalla cronologia delle varie opere rappresentate), sul probabile luogo di redazione della raccolta (idem come sopra)? Ovvero: si tratta di una «miscellanea fattizia» redatta in base ai gusti privati del compilatore, oppure rispecchia la produzione di un singolo teatro o di una piazza teatrale in un periodo dato? Senza una collazione diretta sull’intero manoscritto, e non sulle schede sintetiche di rism aii, è impossibile trarre conclusioni scientificamente attendibili.
E se fosse un’aria da concerto? Mozart ne ha composte un buon numero come questa, su testi di Metastasio intonati decine o centinaia di volte da un gran numero di compositori; ma non per essere incluse in qualche pasticcio, bensi per ‘accademie’ ossia concerti privati o semipubblici la cui documentazione è per forza di cose lacunosa. Di quel copista siglato Ven1, presunto redattore dell’aria «Quel labbro adorato» il Taboga scrive nel suo blog: «è un copista che gravita attorno al teatro San Benedetto, lavora saltuariamente per la cappella Marciana ma anche privatamente». Cosa significa «gravita»? Che aveva un contratto di esclusiva? Sicuramente no, perché sarebbe morto di fame. E da quale database ha ricavato il Taboga la proporzione così dettagliata delle sue collaborazioni? A noi sembra che per dimostrare che questa aria sia stata inclusa nella rappresentazione del 1768 manchi ancora parecchio lavoro: il passaggio all’apprezzamento di Nicolini, ammesso che sia collegabile, è ancora successivo.
3. Conclusioni
Per l’ennesima volta, stiamo assistendo alla rivoluzione metodologica di Taboga (il cui approccio è stato recentemente dotato del riscontro da parte dei Musicologi con Lode): in primis, enunciare la tesi a chiare lettere, per iscritto e in luogo ben visibile (magari addebitando le confutazioni a cattiveria o ragioni extra scientifiche). Secondo gli usi corretti della comunità scientifica, invece, le tesi si pubblicano una volta dimostrate, anche se si tratta di un post su facebook: se viene provato un errore si fa retromarcia, perché nessuno è infallibile, ed eventualmente si cercano altre strade. Non è dogmatismo: è scienza; al contrario, dotare articoli inconsistenti di titoli altisonanti è, notoriamente, uno dei metodi più frequentemente utilizzati dagli autori di fake news e dai giornali di pettegolezzo.
Una chiosa finale: forse, per far capire quanto possa essere «adorabile» la musica di Luchesi, sarebbe il caso di adoperarsi per farla eseguire bene, invece che spendere tempo a spargere tesi non dimostrate (o non dimostrabili) e comunque mal documentate (ad esempio, citando lettere di Mozart in inglese e diari di Burney in italiano). Non è il caso di farlo, infine, tramite i gusti di Burney, specie quando costui ricorda di avere apprezzato anni prima un singolo mottetto, quando non è neanche chiaro se questo fosse di Luchesi o di un Lucchese. Anche perché, a seguire pedissequamente i gusti degli altri, ci si ritrova nel famoso detto americano secondo cui «a million flies can’t be wrong».[11]
[1] Charles Burney, Dr. Burney’s Musical Tours in Europe. An Eighteenth-Century Musical Tour in France, Italy, Central Europe and the Netherlands, 2 voll., a cura di Percy A. Scholes, Oxford, 1959; trad. it.: Viaggio musicale in Italia, vol. I, a cura di Enrico Fubini, Torino, EDT, 1979, pp. 79, 85, 86.
[2] Id., The Present State of Music in Germany, the Netherlands, and the United Provinces, or the Journal of a Tour Through These Countries, Undertaken to Collect Materials for a General History of Music, London, T. Becket & Co., 1773, p. 72
[3] Id., The Present State of Music in France and Italy, or the Journal of a Tour Through Those Countries, Undertaken to Collect Materials for a General History of Music, London, T. Becket & Co., 1771, p. 245.
[4] Id., Viaggio musicale in Italia cit., e Id., The Present State of Music in Germany, the Netherlands, and the United Provinces, cit., trad. it: Viaggio musicale in Germania e Paesi Bassi, a cura di Enrico Fubini, Torino, edt, 1986.
[5] Grigorij Vladimirovič Orlov, Essai sur l’histoire de la Musique en Italie, depuis les temps les plus anciens jusqu’à nos jours, Paris Dufart & Chasseriau, 1822; trad. ted.: Peters, Leipzig, 1824, pp. 326-327.
[6] Burney, The Present State of Music in France and Italy cit., p. 246.
[7] Si veda ad esempio la voce «Puccini» di Gabriella Biagi Ravenni, in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXXV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016 (consultabile anche on-line).
[8] Luigi Nerici, Storia della Musica in Lucca, in Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, vol. XII, Lucca, Tipografia Giusti, 1880.
[9] CH-Gc R 253/15 – Ms.10679.
[10] I-Mb, Raccolta Corniani-Algarotti 4120 (consultabile al link www.braidense.it/rd/04120.pdf ).
[11] Ernest L. Abel, Barbara E. Buckley, The Handwriting on the Wall: Toward a Sociology and Psychology of Graffiti, Westport (CT), Greenwood Press, 1977, p. 107.
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